Attenti all’America divisa

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«Gli uomini che vivono nelle democrazie amano il loro paese nello stesso modo in cui amano sé stessi, e trasferiscono le abitudini della loro vanità privata nella vanità nazionale». È questo, quindi, pensava Alexis de Tocqueville uno dei fattori che tiene insieme gli americani. Certo, tre decenni dopo la sua visita scoppiò la guerra civile, dunque chiaramente l’identificazione democratica non fu sufficiente a tenere unita l’Unione. Ma come sanno i lettori de La democrazia in America, già negli anni Trenta dell’Ottocento Tocqueville anticipava la possibilità di una secessione. «La schiavitù – scriveva – non ha creato nel Sud interessi contrari a quelli del Nord; ma ha modificato il carattere degli abitanti del Sud e ha dato loro differenti abitudini…».
Poiché i nordici sono costretti a essere autosufficienti, sostiene Tocqueville, il modo in cui vivono e le abitudini che hanno sviluppato sono compatibili e sembrano anzi l’espressione stessa dei dogmi condivisi dagli americani. Nel Sud, invece, i proprietari di schiavi vivevano una contraddizione, fin dalla nascita «si trovano investiti di una sorta di dittatura domestica; le prime nozioni che egli riceve della vita gli fanno conoscere che egli è nato per comandare… non è preoccupato dalle cure materiali della vita; un altro si incarica di pensarvi per lui. La sua immaginazione, libera su questo punto, si dirige verso altre cose più grandi e meno esattamente definite… Quindi ciò che separa realmente i cittadini del Nord da quelli del Sud è quello che Tocqueville chiama in francese les modes de vie ».
Per parlare in gergo medico, possiamo immaginare dunque due modi in cui il sistema immunitario di una società democratica può essere indebolito, rendendolo più suscettibile alle minacce esterne – come, oggi, il populismo, il nazionalismo, la xenofobia, l’autoritarismo carismatico e simili. Un modo sarebbe l’indebolimento della comunità di sentimenti e credenze. L’altro sarebbe l’allargamento del divario tra i modi di vita dei gruppi.
Dopo quattro anni di trumpismo negli Stati Uniti, e ancor più di ascesa di demagoghi autoritari e populisti nelle democrazie di tutto il mondo, inizio a pensare che stiamo assistendo a un cambiamento storico più profondo all’opera: la morte del moderno patriottismo democratico. Non per ragioni superficiali di faziosità politica, ma per altre più profonde che riguardano il modo in cui pensiamo e viviamo oggi, e non solo negli Stati Uniti.
Siamo tutti consapevoli che le distribuzioni del reddito in tutte le nostre democrazie sono diventate sempre più e selvaggiamente distorte. Siamo anche consapevoli che il privilegio meritocratico basato sull’istruzione ha aumentato e colorato la nuova divisione di classe economica. Una conseguenza di questo divario è un crescente dislivello negli stili di vita che inizia a rivaleggiare con quello del XIX secolo tra aristocratici terrieri del Sud proprietari di schiavi e piccoli imprenditori del Nord (per semplificare le cose continuerò a limitare la mia analisi all’America bianca, anche se dobbiamo chiederci se simili distinzioni di stili di vita non si stiano sviluppando anche nella comunità afroamericana). La nostra supposizione antiquata è che gli americani della cosiddetta working class vivano vite tradizionali che ruotano attorno al lavoro, alla famiglia e alla chiesa, mentre l’élite meritocratica è meno convenzionale. In realtà, sono i meritocratici come noi che hanno maggiori probabilità di sposarsi e di rimanere sposati, di avere figli, di mantenere un lavoro fisso, di andare in chiesa e di votare. In quanto liberali possono non pensare a sé stessi o definirsi tradizionalisti, ma lo sono. Sono gli americani bianchi svantaggiati che si sposano di meno, che divorziano di più, che hanno meno figli (e più aborti). In effetti, si potrebbe sostenere con un’esagerazione appena percepibile che l’élite meritocratica di oggi condivide molte delle caratteristiche degli aristocratici del Sud dell’anteguerra. Le persone della nostra classe hanno molti inservienti, anche se non vivono con noi. Queste persone, di cui molti immigrati, si prendono cura dei nostri figli, falciano i nostri prati, fanno la spesa per noi, riparano le nostre macchine. Come meritocratici, siamo sempre più protetti da gran parte della routine della vita quotidiana che i nostri genitori e nonni davano per scontata. Allo stesso tempo, gli americani svantaggiati non sentono più altro che quella routine, imposta dalla nuova economia e direttamente da noi stessi.
Non credo sia un’esagerazione dire, nei termini di Tocqueville, che oggi stiamo sviluppando due caratteri nazionali molto diversi. E non solo negli Stati Uniti, ma anche in altre democrazie che sono state scombussolate dall’economia globale. I meritocratici e i meno privilegiati possono professare lo stesso attaccamento a generici valori democratici – la libertà, l’uguaglianza, lo stato di diritto – ma iniziano a vedersi l’un l’altro come specie diverse (persino i nostri corpi appaiono diversi, francamente). Questa è una delle ragioni per cui, credo, è così difficile per noi della classe meritocratica comprendere l’attaccamento profondo e viscerale che i meno privilegiati nelle nostre democrazie hanno nei confronti di demagoghi populisti come Donald Trump, Matteo Salvini o Jair Bolsonaro. Chiunque abbia coniato la battuta che Trump è l’idea di una persona povera di ciò che è una persona ricca ha colto il cuore della questione. Il suo stile di vita sarebbe il loro se solo avessero i soldi per viverlo, credo.
Prendere in giro Trump – la sua intelligenza limitata, il suo linguaggio arrogante e povero di vocabolario, il suo amore per la televisione e il fast- food – significa prendere in giro loro. Ecco quanto è profonda l’identificazione inconscia. E quanto è diventata debole l’identificazione inconscia degli americani bianchi l’uno con l’altro attraverso le linee di classe. (da Repubblica, 21-XI-2020)

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