Morire in casa… ? di Tommaso Montini, pediatra

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child-reaching-for-heavenLondra – Ripubblichiamo per i nostri lettori un articolo del Dott. Tommaso Montini, che è già stato pubblicato nella rivista “Pediatrica” della SIP (Società Italiana di Pediatria). Il mio più vivo grazie al dott. Montini ed alla rivista “Pediatrica” per la gentile collaborazione. Riccardo Cacelli

Un tempo la norma. Oggi l’eccezione.
Alessio, una malattia rarissima e terribile, la Progeria.
A 13 anni pesava circa 15 kg, ma il suo corpo era quello di un novantenne.
La diagnosi: stenosi aortica serrata con cardiomiopatia ischemica gravissima.
Nessuna speranza, più nessuna terapia possibile.
Paziente terminale.
Insieme alla mamma avevamo deciso di lasciarlo a casa, tra i suoi cari, fino alla fine.

Giorno dopo giorno l’inutilità delle mie visite era sempre più evidente e il mio intervento solo emotivo: “Alessio tifi per la Juventus? E “non ti metti scuorno”!?(non hai vergogna) La prossima volta ti porto un poster di Cavani…!”

Una mattina, ennesima chiamata… ci siamo.

Ho comprato della morfina come mi aveva consigliato un collega esperto, qualche farmaco sedativo e sono andato.

Alessio mi aveva chiamato tutta la notte, ma quando sono arrivato aveva perso conoscenza.

Ormai in acidosi, respirava affannosamente con una mascherina di ossigeno.

C’erano tutti, proprio tutti i familiari.
La mamma e la zia lo tenevano per mano, tutti piangevano quando: “Zitti zitti, è arrivato “il dottore”…!” Eccomi.

Un senso di profonda commozione e frustrazione mi ha stretto in una morsa. Tutti gli occhi su di me, e i miei improvvisamente pieni di lacrime.
Non potevo fare niente e tutti lo sapevano, ma tutti mi attendevano con ansia.
Ho somministrato della morfina probabilmente del tutto inutile… e poi? Il mio ruolo era quello del “fare” ma dopo pochi minuti, esaurito il “fare”, non sapevo più che senso avesse la mia presenza.

Mi sono ritrovato dentro un unico desiderio: fuggire!
Ho resistito, e ho sentito invece con forza che il mio compito era uno solo: esserci.

Esserci fino alla fine.

Ho cercato mantenermi sereno e calmo, poi ho detto con dolcezza: “Coraggio! Alessio non aver paura! Ci siamo, siamo tutti qui. C’è la mamma! E’ vicino a te!”.

Ho iniziato ad accarezzarlo, ho detto alla mamma di farlo e di abbracciarlo, ho intonato una ninna nanna cercando di coinvolgere la mamma.

E’ trascorso del tempo così. Era molto difficile mantenere il controllo della tensione, mi veniva da piangere e in silenzio pregavo.

Di tanto in tanto il controllo emotivo si perdeva e qualcuno correva fuori ma, posso dire che gli ultimi momenti di Alessio sono stati un abbraccio, tra i suoi cari. Ha smesso di respirare e gli ho chiuso gli occhi.

La disperazione è venuta dopo.

Non sono riuscito a contenerla e ho perso il controllo della situazione. Sono andato via appena ho sentito di essere di troppo. In silenzio, senza salutare nessuno…

Finalmente sono fuggito! Ma Alessio non c’era più e la famiglia doveva stringersi nel suo dolore, senza intrusi.

Dopo qualche giorno sono andato a trovare la mamma. Poche parole, un abbraccio, un legame profondo, bello!

Una storia semplice.
Poco di medico, molto di umano.

Ho ripensato a quei momenti.
Ero preparato ad affrontarli?
Me lo hanno insegnato alla scuola di specializzazione?

Più volte in reparto avevo partecipato a eventi simili ma lì c’erano tanti medici, infermieri, infusioni, ossigeno, cartelle da aggiornare di minuto in minuto, al massimo due genitori…

La frenesia del “fare” fino all’ultimo istante occupava la scena e forse permetteva anche una fuga da quel letto dove la mamma piangeva, spesso sommessamente, davanti a tante persone estranee.
La serenità era demandata ad una frase da dire e da dirsi: “abbiamo fatto tutto il possibile!”

Ho sentito l’esigenza di studiare e di mettermi in discussione.

Racconto in breve i concetti che sono diventate le mie linee guida. Li elenco in modo schematico, ma invito ad approfondirli se qualcuno fosse interessato.

1)Nei momenti di forte tensione il linguaggio del corpo prevale su quello della parola e le emozioni si contagiano con una velocità straordinaria.
In situazioni critiche, l’espressione del viso e l’atteggiamento emotivo di chi assume un ruolo di leader si trasmette immediatamente a tutto il gruppo e ne condiziona le percezioni e i comportamenti (1-2).
Nella stanza di Alessio, in quel momento, avevo una posizione emotivamente forte e la mia capacità di comunicare serenità con il mio viso e il mio corpo era determinante.

2)La sofferenza è alleviata dalla condivisione (3-5). E’ una cosa che ho imparato in chiesa da bambino, ma da medico l’ho studiata: si chiama “empatia”. “Empatia” è la capacità di “vivere” dentro sé stessi le emozioni dell’altro.
E’ una capacità profondamente umana che è mediata da complessi sistemi neuronali e neuroendocrini.
Per mezzo del sistema dei neuroni specchio, attraverso i centri subcorticali e ipotalamici, fino all’asse ipofisi surrene, realmente, contenuti emozionali forti di altri possono essere vissuti, direttamente, con una attivazione nel proprio corpo degli stessi sistemi. (7-8)

Ogni intervento assistenziale richiede empatia, ma è importante per gli operatori non lasciare che l’empatia si trasformi in contagio emotivo. C’è una profonda differenza tra questi due concetti: Nell’empatia, i meccanismi specchio attivano l’esperienza emotiva, ma il controllo corticale permette di riferire quella esperienza all’altro.

Ad un fatto fuori di sé stessi. Nel contagio emotivo questo controllo è perso e la sofferenza diventa assolutamente propria con costi emotivi che possono diventare altissimi.

3)La capacità di mantenere una empatia equilibrata, senza contagio emotivo ma con un controllo in positivo della esperienza, può diventare un supporto importante per chi soffre.
Una maniglia cui aggrapparsi in momenti assolutamente difficili.
I meccanismi specchio sono infatti reciproci tra operatore e paziente e, in situazioni critiche, chi soffre può rivedere la sua esperienza proiettata nell’operatore in una dimensione tollerabile. Una restituzione che può aiutare a ritrovare un equilibrio altrimenti irrimediabilmente perso. (8)

4)Quando la corteccia è esclusa i centri subcorticali arcaici e profondi continuano ad essere attivi e rappresentano l’ultimo confine della vita. Le carezze, il contatto fisico, il canto e la musica sono tutti linguaggi mediati da meccanismi neuroendocrini che dalla periferia raggiungono il cervello e non richiedono una decodifica cognitiva.
Abbiamo imparato a conoscerli nello sviluppo del bambino piccolo. “Nati per la Musica” (11) (progetto promosso dall’ACP), il contatto pelle a pelle, i massaggi al lattante, sono tutti strumenti acquisiti nelle competenze di tutti i pediatri.
Il contatto fisico, le carezze, il canto e la musica, alzano i livelli di Ossitocina e di Serotonina; queste stimolano la produzione di endorfine cerebrali e mitigano l’azione dell’Amigdala, la centralina attiva in tutte le situazioni di stress (1-2-9-10-12). Pensavo a questo quando ho proposto la ninna nanna per Alessio e ho spinto la mamma ad accarezzarlo tenendolo vicino al suo corpo.

5)La paura. La morte fa paura e chi muore ha paura.

La paura aumenta l’ansia e la percezione del dolore (1).

Per un bambino piccolo la paura è la perdita del contatto con la mamma e per questo la presenza e il contatto della mamma tranquillizza (12).

In momenti così drammatici mi è sembrato importante ripetere e ripetere più volte “Non aver paura, c’è la tua mamma, siamo qui!”

Quando il confine della vita è perso è difficile restare vicino a chi soffre perché la nostra emotività richiede una risposta, un sorriso che ritorna.
E’ un nostro bisogno.

Tenere una mano o accarezzare una fronte, però ha un effetto potente perché la memoria profonda delle sensazioni e delle emozioni è l’ultima a morire.
Il camice “deve fare” un qualcosa, certo, ma in alcuni momenti il “fare” più anche diventare una fuga.

In alcuni momenti la parola chiave importante da imparare è, semplicemente, “esserci!”

Tommaso Montini

Pediatra Oncologo

Bibliografia:

1) Daniel Golemann “Intelligenza emotiva” Ed. Bur
2) Daniel Golemann “Intelligenza sociale” Ed. Bur
3) Il “Santo Vangelo” Varie edizioni
4) Robert Buckman “La comunicazione della diagnosi” ed. Raffaello Cortina Editore
5) Comunicazione e Relazionalità in Medicina Atti del congresso internazionale
Roma 16-17 Febbraio 2007 MDC (Medicina Dialogo Comunine) Università Cattolica del Sacro Cuore
6) P.R. Brunelli, F. Pasini, F.Suzzi “Anche ai bambini può spezzarsi il cuore: l’esperienza della perdita di una persona amata” Quaderni ACP 2010; 17(3): 120-124
7) Vittorio Gallese “Dai Neuroni Specchio alla consonanza intenzionale: meccanismi neurofisiologici dell’intersoggettività” Rivista di Psicoanalisi, 2007, LIII, 1, 197-208
8) Vittorio Gallese, Paolo Migone, Morris N. Eagle “La simulazione incarnata: i Neuroni Specchio, le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività ed alcune implicazioni per la psicoanalisi” Psicoterapia e Scienze Umane, 2006, XL,3:543-580
9) Grazia Attili “Attaccamento e costruzione evoluzionistica della mente” Ed. Raffaello Cortina Editore
10) Manuela Lavelli “Intersoggettività: origini e primi sviluppi” Ed. Raffaello Cortina Editore
11) Progetto Nati per la Musica (NpM) www.natiperlamusica.it Bibliografia nel sito
12) Elena Balsamo “Sono qui con te: l’arte del maternage” Ed. Il Leone Verde

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