Sono a rischio duemila posti in edlizia

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Lucca – I posti a rischio sono 1.500 nella migliore delle ipotesi e 2.000 nella peggiore. E le cifre della crisi del settore edilizia – dai lavori pubblici a quella residenziale – non sono campate in aria. Solo fra ottobre e dicembre del 2008, nella provincia di Lucca – denuncia Stefano Varia, presidente regionale di Ance, l’associazione nazionale dei costruttori edili – sono stati persi 350 posti di lavoro, come rivela la Cassa edile. Più di 100 al mese. In media quattro al giorno. E se non si pone rimedio – avverte Varia, titolare con la sorella Gloria di Varia costruzioni, impresa di riferimento in Toscana (e non solo) – nel 2009 questa tendenza andrà peggiorando: la previsione è di un calo del volume di affari, a livello nazionale, del 6,85% con un taglio, specie nelle imprese piccole e medie, di circa 200-250mila posti di lavoro in Italia.
 Se nel paese rischiano di scomparire questi posti, in Toscana si parla di un taglio (a pioggia) fra 15mila e 20mila addetti e, di riflesso, verranno mancare da 1.500 a 2000 posti in Lucchesia, che rappresenta il 12% del fatturato edilizio toscano. Ecco, quindi, l’appello lanciato circa un mese fa da Ance al Governo di stanziare un miliardo di euro per sbloccare i lavori pubblici immediatamente cantierabili (decine e decine nella sola provincia di Lucca). Un appello c’è anche per la Regione e per i Comuni invitati a sbloccare l’edilizia pubblica residenziale (le case popolari e l’edilizia agevolata) per le quali la Toscana ha già 100 milioni di euro disponibili.
 Presidente Varia, è davvero così nera la situazione del settore edilizia? E qual è il calo previsto per il 2009?
 «La situazione è davvero difficile. Molto. Nel 2009 si parla di un calo del 30-35% del volume di affari sia in considerazione della contrazione del settore appalti pubblici, viste le condizioni finanziarie di molti enti locali (i Comuni soprattutto), sia del sostanziale fermo dell’edilizia privata. Non si costruiscono, insomma, più opere pubbliche e nemmeno case. E anche la manutenzione è ferma. La nostra preoccupazione nasce da dati concreti. Nel 2008, infatti, avevamo calcolato una perdita nazionale dell’1,1% del settore costruzioni, ma a causa del picco registrato negli ultimi tre mesi, questo dato italiano è salito al 2,3%. Nel 2009 la situazione si annuncia ancora più critica, sia a livello nazionale che a livello locale: in media si stima un calo del 9,2% della nuova edilizia residenziale, un possibile calo del 7,3% delle opere pubbliche e un 7% in meno dell’edilizia privata non residenziale (dai capannoni ai negozi, per arrivare agli alberghi)».
 Esiste un modo per evitare un tracollo dell’edilizia e, quindi, dell’occupazione del settore?
 «Il punto è proprio questo: è possibile mettere in campo una serie di iniziative per evitare che il 2009 rispetti le previsioni più nere. E queste iniziative devono essere spinte e sostenute a tutti i livelli».
 Ma dove vorreste cominciare?
 «Dalla ripresa delle piccole e medie opere pubbliche. Il 18 marzo abbiamo chiesto al governo di stanziare 1 miliardo di euro dei fondi Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) per finanziare i lavori pubblici subito cantierabili, quelli per i quali esista già un progetto esecutivo. Come abbiamo spiegato al ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, si tratterebbe di trovare queste risorse fra quelle che non hanno ancora una destinazione definitiva, senza togliere nulla agli appalti già finanziati o ai fondi già assegnati in modo definitivo. Aspettiamo una risposta a giorni (probabilmente già oggi, ndr) e speriamo che sia positiva. Anche perché in provincia di Lucca sono decine le opere cantierabili (con la progettazione esecutiva ultimata o quasi) che non partono per mancanza di fondi. Io stesso ho mandato al ministero un lungo elenco, a titolo esemplificativo, dei lavori finanziabili per il Comune di Lucca e per la Provincia. Non è detto che, svincolando questi fondi, si debbano finanziare i lavori contenuti nell’elenco già inviato a Roma. Ce ne sono molti altri da prendere in considerazione, ma l’importante è sbloccare i cantieri piccoli e medi: nella situazione nella quale l’edilizia si trova, non si possono aspettare i tempi di progettazione e appalto delle grandi infrastrutture. Di queste opere, come le autostrade, c’è bisogno per colmare un gap di decenni, questo è indubbio. Ma mentre si aspettano i tempi (lunghissimi) di questi appalti, oggi c’è necessità di rimettere in moto i cantieri piccoli e medi. È questa la priorità».
 Se anche le piccole e medie opere venissero finanziate, ci sarebbe, però, sempre il problema dei tempi di appalto. Che non sono brevi.
 «Anche per questo c’è una soluzione: la normativa più recente, infatti, consente alle pubbliche amministrazioni di assegnare i lavori a trattativa privata (contattando dieci ditte) quando l’importo non superi i 500mila euro. Quello, appunto, delle piccole e medie opere. Si tratterebbe sempre di una procedura pubblica, di una gara, ma con tempi decisamente più brevi. Ecco perché invitiamo i dirigenti degli enti locali a tirare fuori dai cassetti i progetti pronti che hanno. Potremmo usufruire, in questo modo, dei fondi statali straordinari che venissero accordati dal Cipe, con una ripartizione su base regionale, in base alla popolazione residente».
 Ma che succederebbe se non venisse svincolato questo miliardo di euro?
 «Gli enti pubblici devono iniziare a considerare nuove forme di finanziamento per le opere pubbliche. Oltre al project financing – un privato anticipa i soldi per l’investimento, realizza l’opera e la gestisce fino a quando non ha recuperato (con un guadagno medio del 7,7%) i soldi spesi – oggi gli enti locali hanno a disposizione anche il “leasing in costruendo”: l’opera pubblica viene affidata a un’associazione temporanea di imprese fra un privato e una banca. Il privato effettua i lavori, la banca lo paga e l’ente pubblico restituisce a rate all’istituto di credito i soldi anticipati. In questo modo, può iscrivere a bilancio solo l’importo delle rate da restituire, senza ingessare la spesa».
 Le finanze delle pubbliche amministrazioni, in effetti, sono l’altro problema per gli appalti delle opere pubbliche.
 «Non a caso, abbiamo chiesto al governo di sospendere per un anno il “patto di stabilità”, l’insieme di norme e parametri che bloccano le risorse da investire in opere pubbliche».
 Le sole opere pubbliche, soprattutto piccole e medie, però, non possono bastare a tenere a galla il settore edilizia.
 «È vero. Ecco perché stiamo lavorando anche far ripartire l’edilizia residenziale. In primo luogo quella pubblica, per le case popolari. Partiamo da qui perché la Regione ha 100 milioni di euro già disponibili da investire in case popolari. Sono risorse rastrellate negli anni da quegli enti pubblici che, per mancanza di aree o di progetti, non hanno speso i contributi regionali. Ci sono anche i soldi di progetti non portati in fondo per il fallimento delle imprese appaltatrici, un problema che non si debellerà fino a quando si continueranno a indire gare al massimo ribasso per le case popolari, partendo da una base d’asta di 600 euro al metro quadro e aggiudicando i lavori a chi presenta l’offerta più bassa. Come abbiamo spiegato di recente all’assessore regionale alla casa, Eugenio Baronti, è necessario che la Regione riveda la base d’asta per costruire le case popolari, in modo da trovare anche in loco (e non solo al Sud) ditte appaltatrici che magari presentino anche maggiori garanzie, soprattutto dal punto di vista della manodopoera impiegata. Se vogliamo avere case popolari che durino, che siano realizzate a regola d’arte, che vengano ultimate nei tempi previsti dal contratto, gli appalti devono essere assegnati in base all’offerta economicamente più vantaggiosa, quella con il miglior rapporto fra qualità e prezzo».
 Basta questo per far ripartire la costruzione delle case popolari o dell’edilizia agevolata, ad esempio per le giovani coppie?
 «No. In primo luogo è necessario che la Regione adotti i regolamenti per l’erogazione dei contributi mentre i Comuni, a cominciare da quelli della Lucchesia, devono individuare aree da destinare all’edilizia popolare».
 

da “Il Tirreno”, 14 marzo 2009

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