Alla ricerca della banca perduta

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Non ci sono più le banche di una volta, sparite come le mezze stagioni. Come spesso accade, letteratura e cinema hanno colto l’essenza della crisi prima dell’economia. Opere come Lehman Trilogy di Stefano Massini o film come Margin Call di J.C. Chandor fanno capire quanto la finanza sia mutata nel giro di pochi decenni e come Lehman Brothers, fondata su sani principi morali e sul sostegno allo sviluppo economico, abbia potuto trasformarsi in un mostro dominato da speculatori avidi e cinici che hanno fatto precipitare l’economia mondiale nella più grave crisi della storia.

Questo libro vuole spiegare come si sia aperto un abisso tra la finanza come dovrebbe essere, descritta nei libri di testo (compreso quello di chi scrive), che svolge una funzione essenziale per la crescita, e la “nuova” finanza che ha provocato la crisi ed è stata addirittura oggetto di un salvataggio pubblico senza precedenti. Lo scopo è capire come possiamo recuperare la banca perduta, cioè rispondere alla domanda che si pongono oggi non solo economisti e policy maker, ma anche i cittadini, che – colpiti duramente e più volte nei propri risparmi – non sanno se possono ancora fidarsi delle banche o se dare ragione all’Economist (mica un foglio sovversivo) arrivato a coniare il termine banksters.

Economisti e cittadini sembrano porsi problemi diversi: di sviluppo economico generale i primi, di tutela del risparmio i secondi, ma in realtà si tratta di due diversi punti di caduta dello stesso problema, cioè il volto oscuro della finanza messo impietosamente in evidenza dalla crisi e che sembra prevalere su quella “buona” che dobbiamo e possiamo valorizzare.

Le crepe di Wall Street

Proprio per questo, il libro si rivolge a un pubblico più vasto degli addetti ai lavori, anche se il viaggio è davvero degno di Indiana Jones, perché richiede di addentrarsi nei meandri del sistema creditizio moderno, che possono essere più fitti della giungla, per capire i motivi per cui la finanza è diventata sempre più grande rispetto all’economia reale e sempre più complessa, fino a subire una sorta di “mutamento genetico”. Percorrendo questa strada si capisce che la finanza ha sfruttato in pieno le opportunità del clima ideologico e politico di liberalizzazione e deregolamentazione su scala mondiale che ha dominato gli ultimi decenni e che ha basato la crescita economica dei paesi avanzati, a cominciare dagli Stati Uniti, su un’accumulazione di debiti senza precedenti, cioè su un castello di carte che non poteva che crollare miseramente. Ma si scopre anche che, come ogni sovrastruttura, la finanza è lo specchio degli squilibri dell’economia sottostante. È una crisi delle imprese che hanno privilegiato i risultati a breve, a scapito degli investimenti e della crescita sostenibile; è una crisi sociale, perché sono aumentate la disuguaglianza e la povertà anche nei paesi avanzati; è una crisi politica, perché le tensioni economiche e sociali spostano verso destra il baricentro dell’elettorato, spingendolo a chiedere misure di pura protezione degli interessi esistenti, non importa se fra questi sono compresi quelli delle banche. E fu subito Trump.

Insomma, i grandi movimenti che hanno portato alla crisi sono dominati dalle trasformazioni della finanza degli ultimi decenni, che a loro volta sono stati favoriti dalle politiche neoliberiste rafforzatesi con la sconfitta del socialismo reale. Ma addentrandoci nella giungla in cui sembra scomparsa la banca perduta, scopriamo che se è crollato il Muro di Berlino, quello di Wall Street ha numerose crepe e molte delle cause di fondo della crisi non sono state ancora rimosse.

Marco Onado, Alla ricerca della banca perduta, 2017, Il Mulino, pag. 280. 15 euro (e-book 10,99 euro)

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