A Copenhagen si è avvertita la mancanza di leadership dell’Unione Europea, ci riproveremo ancora

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Ci saranno le solite Cassandre, che diranno: “Ecco, ve lo avevo detto, l’avevo preannunciato” tanto per rimanere nel campo delle profetesse! Ebbene sì, il summit di Copenaghen si è chiuso non risolvendo le aspettative di cui ci eravamo vantati appena un settimana fa. Chiude, lasciando quella traccia amarognola in bocca di insoddisfazione, come il caffè la mattina appena alzati dal letto. Si potevano ottenere tante altre cose rispetto a quanto è stato centrato. Vero, verissimo. Ma poteva anche succedere che non si riuscisse proprio in nessun punto a registrare le condivisioni di vedute e di comportamenti partecipati.

Un bicchiere, allora, mezzo pieno. Che cosa si è ottenuto? L’accordo, un documento di tre pagine, fissa come obiettivo un tetto a due gradi del riscaldamento globale rispetto all’era pre-industriale. Vengono poi stanziati 30 miliardi di dollari dal 1010 al 2012 e 100 miliardi al 2020, destinati principalmente ai paesi più vulnerabili per sostenerli a contenere l’impatto dei cambiamenti climatici.

Stamane, la Conferenza Onu sul clima ha comunicato di aver «preso nota» dell’intesa nella Conferenza finale cui hanno partecipato 193 paesi.

Durissima la reazione degli ambientalisti, Greenpeace in primo luogo, a sottolineare che «spariscono gli impegni vincolanti e collettivi, al loro posto un elenco delle disponibilità di ogni singolo stato». «Non c’è un solo punto – ha detto il responsabile di Greenpeace, il francese Pascal Husting – in cui si parla di obbligatorietà degli accordi. Il protocollo di Kyoto era insufficiente, ma almeno era vincolante. Questo testo è la prova che gli egoismi nazionali prevalgono ed è anche la versione più debole tra quelle circolate».

Ancora più pronunciate le posizioni del Wwf e Legambiente che hanno creduto fino all’ultimo in uno “storico” documento e in un radicale cambio di rotta.

«L’accordo di oggi sancisce il trionfo delle parole sui fatti, dell’apparenza sulla sostanza»: per Oxfam International e Ucodep, i leader presenti al vertice di Copenaghen hanno trasformato un momento storico in un fallimento storico: le due organizzazioni chiedono che l’accordo non sia un punto di arrivo, ma solo la base di partenza dei colloqui sul clima nel 2010.

«L’accordo proposto da Stati Uniti, India e Cina, ma giudicato da tutti insoddisfacente, non riesce a celare le differenze tra i paesi che hanno negoziato per due anni», dichiara Jeremy Hobbs, direttore di Oxfam International, «è un trionfo della retorica sulla sostanza. Riconosce il bisogno di mantenere il riscaldamento globale sotto i due gradi, ma non si impegna a farlo. Rimanda le decisioni sul taglio delle emissioni, indorando la pillola con la promessa di maggiori fondi».

Un colpo basso allo stomaco per gli ambientalisti, almeno per coloro che hanno intensamente lavorato per preparare nel migliore dei modi questo summit e si trovano, ora, a raccogliere questo magro bottino.

«Dopo due anni di intensi negoziati, questa bozza di accordo non ci dà la sicurezza che gli effetti catastrofici del cambiamento climatico saranno evitati e che i paesi più poveri avranno le risorse di necessarie per contrastarne gli effetti ed adattarsi», denuncia Elisa Bacciotti, portavoce di Oxfam e Ucodep: «milioni di persone in tutto il mondo non vogliono veder morire a Copenaghen le loro speranze per un accodo ambizioso, vincolante ed equo. I leader devono tornare quanto prima attorno a un tavolo nel 2010 e prendere le decisioni necessarie».

Eppure l’Unione Europea era giunta all’appuntamento con un testo unitario: un piano vincolante di riduzione delle emissioni firmato da ventisette personalità. Eppure basta vedere la foto che ritraggono i maggior leader europei per scorgere nelle loro facce non l’ottimismo dell’impresa: ce lo fa notare questa mattina La Stampa che commenta: i sei uomini che avrebbero dovuto fare l’impresa comunicano un senso di stanchezza nella foto scattata nottetempo al Bella Center, che riprende i cinque leader Ue mentre si confrontano col presidente degli Stati Uniti.

E per l’Unione Europea è anche un’occasione persa per ricoprire un ruolo di primissimo piano nella leadership mondiale. Missione fallita? Obiettivi dimezzati?

Continueremo a sentir parlare di effetto serra; di sbalzi climatici, di incredibili inondazioni: ma se poi i risultati che si otterranno saranno questi, ne varrà davvero la pena riparlarne? Credo proprio di sì: se amiamo davvero questo “piccolo atomo di terra” che sta nell’universo e galleggia nelle infinite galassie.

Ha detto bene Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace International in una lettera fatta arrivare, sempre ieri, in redazione e che pubblichiamo nella nostra rubrica delle Lettere: “non è ancora finita”. Mi sembra il migliore augurio per il 2010 e per le prossime festività natalizie a tutti affezionati lettori!

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