Come stanare e colpire l’HIV: le scoperte del ricercatore Guido Silvestri

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Le terapie contro l‘hiv funzionano. Funzionano se con questo intendiamo che riescono a tenere a bada il virus, evitano le complicazioni legate all’infezione e consentono a chi ha chi ha contratto l’hiv di avere delle aspettative di vita paragonabili a quelle delle persone non infette. Eppure a oggi i trattamenti antiretrovirali (Art) non riescono a eradicare il virus. Perché il virus si può nascondere nelle cellule dell’ospite in una forma che sfugge all’azione dei farmaci, pensati per bloccarne la replicazione. Si parla di reservoir virali, cellule in cui l’hiv è lì ma non dà segni di sé, non si replica e dunque non può essere bersaglio delle terapie. Questo rende impossibile sospenderle, perché anche quando queste riescono a tenere a bada l’infezione, i serbatoi dormienti potrebbero risvegliarsi, producendo nuove particelle virali, come ben ricordano le autorità sanitarie statunitensi. Ecco perché una parte della ricerca contro l’hiv mira a trovare il modo di risvegliare questi serbatoi virali, così da renderli visibili e colpirli. Ed è esattamente in questa direzione che vanno gli studi appena pubblicati sulle pagine di Nature, che hanno messo a punto nuove strategie per risvegliare il virus da queste fasi di latenza.

Risvegliare i virus dallo stato di latenza

L’idea di risvegliare il virus è il primo passo per quella che i ricercatori hanno ribattezzato una strategia di shock & kill, il cui scopo mira a eradicare completamente il virus e così a una cura dell’Aids, come racconta a Wired.it Guido Silvestri, ricercatore italiano della Emory University di Atlanta, che firma oggi i due paper. “Uscire dalla latenza è fondamentale sia per riconoscere le cellule infettate – se il virus è latente la cellula non può essere riconosciuta – che per eliminare questa cellula con meccanismi immunologici, quali anticorpi e cellule killer”. Di fatto, continua il ricercatore, farlo significa produrre “un certo livello di attivazione della cellula infettata, che di solito è un linfocita CD4”. E possono esistere modi diversi per farlo come mostrano oggi i due studi su Nature, condotti in vitro e nei modelli animali, come topi con hiv e macachi infettati dal simian immunodeficiency virus (Siv), un virus parente dell’hiv che infetta i primati sotto terapie antiretrovirali.

Alcuni tentativi sono già stati testati in passato, ma nessuno finora ha prodotto risultati che possano dirsi così convincenti. Quelli presentati oggi invece, raccontano i ricercatori, hanno prodotto invece livelli di riattivazione dallo stato di latenza mai visti finora.

Lo studio che vede a capo lo stesso Silvestri è riuscito ad attivare le cellule CD4 (i bersagli del virus hiv) attraverso una doppia stimolazione. “Il messaggio centrale del nostro lavoro è che la latenza sembra essere mantenuta, sia in vivo, ovvero negli animali, che in vitro, da una interazione tra le cellule infettate, i linfociti CD4+, ed un altro tipo di cellule del sistema immunitario, i linfociti CD8+. Questo è un messaggio del tutto nuovo che cambia e migliora il nostro modo di capire il fenomeno biologico della latenza”, racconta il ricercatore.

Proprio per questo infatti l’approccio degli scienziati è stato quello di agire su entrambi i tipi cellulari per forzare il virus fuori dallo stato di latenza. Da una parte così i ricercatori hanno utilizzato una molecola (N803) in grado di stimolare da ultimo la trascrizione del virus nelle cellule CD4 (attraverso l’interleuchina 15), dall’altra hanno usato un anticorpo in grado di bloccare l’azione dei linfociti CD8. “Secondo il vecchio paradigma le cellule CD8 sono necessarie per eliminare altre cellule infette – ha detto ancora il ricercatore – Noi abbiamo dimostrato che le cellule CD8 sono anche coinvolte nel reprimere l’uscita dallo stato di latenza”. Così tanto che, si legge nel paper, stimolare solo le CD4 con la molecola N803 non basta a riattivare la produzione virale, serve anche reprimere le CD8 per uscire dalla latenza. La combinazione della doppia stimolazione funziona tanto nei macachi con Siv che nei topi infettati da hiv sottoposti a terapie aniretrovirali.

L’altro studio pubblicato su Nature ha usato invece un approccio diverso per risvegliare il virus dallo stato di latenza, basato sull’impiego di una molecola in grado di riattivare l’espressione del materiale genetico del virus dormiente, sia nei topi che nei macachi in terapia antiretrovirale. E anche in questo caso la stimolazione riusciva a risvegliare il virus, portando per esempio a un aumento dei livelli di espressione del genoma del virus e all’aumento stesso del virus nel sangue. Con effetti collaterali minimi e temporanei, aggiungono i ricercatori.

Perché servono più strade per risvegliare il virus

“I meccanismi che regolano la latenza di hiv in vivo sono molteplici e complessi”, prosegue Silvestri. Ed è per questo che le strategie per risvegliare il virus si muovono su più fronti. A tal proposito, Mathias Lichterfeld del Brigham and Women’s Hospital di Boston, in un articolo di accompagnamento al paper sullo stesso numero della rivista, spiega che i diversi reservoir virali possono avere diversi meccanismi di latenza forse perché influenzati da dove si integra l’hiv nell’ospite. Questo potrebbe significare così che solo alcuni reservoir, e non tutti, rispondono a sostanze usate per reprimere lo stato di latenza. Né, aggiunge Lichterfeld, è possibile così al momento stabilire quanto si riduce il pool dei reservoir.

Kill, il passo successivo al risveglio dalla latenza

“Nel contesto delle future applicazioni cliniche dell’approccio ‘shock & kill’ i nostri due lavori sono importanti perché rappresentano un sostanziale aumento della nostra capacita’ di ‘scioccare’ il virus fuori dalla latenza – riprende Silvestri – Una volta raggiunto uno shock ottimale, che riattiva tutto il virus latente nel corpo, la battaglia finale sarà di eliminare queste cellule attraverso meccanismi effettori immunitari”. Gli studi di oggi infatti si sono concentrati solo sulla prima fase dell’approccio shock & kill, quella necessaria per rendere il virus nelle forme latenti un target di nuovo visibile. Uno dei prossimi passi sarà dunque lo studio di adeguati meccanismi per far fuori i reservoir riattivati, ad oggi, scrive ancora Lichterfeld, più teorico che pratico: “Non sarà facile ma sappiamo da molti studi che è assolutamente possibile”, conclude però Silvestri,“Ottimismo, quindi, sempre con salutare cautela, ma ottimismo”.

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