Il coronavirus fa sparire la rivista Playboy dalle edicole Usa

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Il coronavirus dà il colpo di grazia a Playboy negli Usa, facendolo scomparire dalle edicole dopo 66 anni: il numero di primavera, che esce questa settimana, sarà l’ultimo cartaceo, almeno per quest’anno. La rivista resterà però nella versione digitale, dove è più vitale che mai, con un aumento degli abbonamenti del 30% nel 2019.
“Mentre l’interruzione della produzione di contenuti e della catena di forniture da parte della pandemia di coronavirus diventa sempre più chiara, siamo stati costretti ad accelerare una discussione che avevamo già cominciato internamente”, ha spiegato il direttore generale di Playboy Enterprises Ben Kohn sul sito del gruppo, annunciando lo stop delle pubblicazioni, che erano già passate da bimestrali a trimestrali lo scorso anno. Finisce così un’epoca, almeno nella sua dimensione cartacea.
Quella che è considerata la prima rivista erotica del mondo debuttò in edicola nel dicembre 1953 ma non aveva la data in quanto il fondatore Hugh Hefner dubitava sarebbe uscito un secondo numero. In copertina vi compariva l’allora esordiente Marilyn Monroe, cui fu dedicato il primo paginone centrale con un nudo a seno scoperto. Come logo fu adottato una testa stilizzata di coniglio con un farfallino da smoking: un’immagine sessualmente allusiva diventata un’icona cult. Da allora il magazine si diffuse in tutto il mondo, rompendo molti tabù in un’epoca segnata dal puritanesimo e contribuendo al movimento della rivoluzione sessuale ma attirandosi poi anche molte critiche per la sua celebrazione della donna oggetto. I contenuti di Playboy tuttavia non sono mai stati limitati al nudo e hanno spaziato tra l’intrattenimento colto (già nel primo numero vi erano articoli sul jazz, sul Decameron e brani di Sherlock Holmes) e il design, tra articoli di costume, moda, sport, politica e interviste a personaggi illustri di ogni settore: da Jimmy Carter a Fidel Castro, da Vladimir Nabokov a Gabriel García Márquez, da Malcolm X a Martin Luther King Jr., da John Lennon a Jean-Paul Sartre, da Cassius Clay a Orson Welles, da Yasser Arafat a Steve Jobs.
Il suo picco di vendite risale al 1972, con sette milioni di copie. Tre anni prima era sbarcata negli Usa anche la più esplicita rivista Penthouse e la rivalità fra le due riviste portò entrambe a pubblicare immagini di nudo sempre più integrale per aumentare le rispettive quote di mercato: “Guerre pubiche”, le definì scherzosamente Hefner.
La posizione di mercato di Playboy fu poi pesantemente intaccata dall’avvento di altre pubblicazioni concorrenti, di riviste pornografiche in senso stretto e, negli anni Ottanta, dai prodotti porno per l’home video. E’ sopravvissuta riposizionandosi come magazine ‘di lusso’ per uomini adulti di un certo livello culturale e sociale ma poi è arrivato il fatale coronavirus. I più affezionati lettori americani sono comunque ancora aggrappati ad una speranza, anche se l’astinenza sarà lunga: nel 2021 si prevede la pubblicazione di numeri speciali.

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