Appello per salvare il castello del Giove dal degrado

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La Torre del Giove cade a pezzi. Un pezzo di storia elbana rischia di scomparire e ora parte un appello contro il degrado. Portavoce è Gisella Catuogno, rappresentante di “Italia Nostra” sezione dell’Isola d’Elba, l’associazione ambientalista fra le prime a sensibilizzare l’opinione pubblica su un’ipotesi di recupero strutturale dell’antico maniero riese. Ma non è un invito nuovo. Altri si sono succeduti nel tempo, purtroppo con pochissimi risultati. «Tutto questo dimostra – dice Gisella Catuogno – non solo insensibilità per la cultura in un territorio come quello italiano che ha una concentrazione di patrimonio artistico ineguagliabile al mondo. Ma anche miopia economica e politica». Se n’era già occupata Legambiente, nel febbraio 2006. Il Cigno Verde non aveva fatto altro che accogliere e sottoscrivere l’appello di salvare il monumento storico che fu lanciato da Lorenzo Marchetti, allora presidente del parco minerario dell’Elba. Ente pubblico sotto la cui giurisdizione ricade proprio monte Giove su cui si erge la torre di proprietà dell’agenzia del Demanio. Ma anche in quel casola campagna non ottenne i risultati sperati. Era il 2006. Da allora a oggi niente è stato fatto. Anzi, il degrado è ulteriormente avanzato. La Torre del Giove sembra destinata all’oblio; fino ad oggi, quando Gisella Catuogno ha lanciato un nuovo disperato sos. La torre fu eretta da Jacopo III degli Appiani, signori di Piombino, nel 1459, su un pianoro di 351 metri sul livello del mare dove la credenza popolare voleva fosse stato eretto un tempio a Giove Olimpico. Aveva una triplice funzione: punto di avvistamento del canale di Piombino, torre di trasmissione di messaggi visivi da o per il castello del Volterraio (a suo volta collegato con Cosmopoli) o per Palmaiola e, infine, luogo di protezione e riparo per i minatori-fabbri di Grassùla (oggi Grassera). Ora è rimasta in piedi solo la parte rivolta a mezzogiorno, quella dove era il ponte levatoio, ma anche questa appare infestata da piante che con le loro radici penetrano la muratura minandone la stabilità. Ciò che è sopravvissuto alle distruzioni praticate prima dal pirata Dragut (1553), poi dal governatore spagnolo di Longone che ne ordinò nel Settecento la demolizione, è attaccato ora definitivamente dall’incuria. «Un restauro – conclude Gisella Catuogno – s’impone con urgenza, per non perdere anche quel poco che è sopravvissuto».

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