Non lasciamo l’euro all’asse franco-tedesco

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Le proposte del documento franco-tedesco

Mentre l’Italia è immersa in una delle peggiori campagne elettorali della sua storia, del tutto dimentica della situazione delicata della nostra finanza pubblica, in Europa prosegue e si precisa il dibattito sulla riforma dell’area dell’euro. In particolare, se, come appare possibile, si ricostituirà la “grande coalizione” tedesca, la Germania avrà finalmente un governo in grado di rispondere alle proposte avanzate da tempo dalla Francia di Emmanuel Macron.
Il dibattito sull’euro, già iniziato nelle sedi istituzionali europee con un pacchetto di proposte avanzate dalla Commissione a dicembre dell’anno scorso, conoscerà inevitabilmente una rapida accelerazione. È allora opportuno guardare a cosa bolle in pentola, in particolare a cosa discutono francesi e tedeschi. I due paesi rappresentano infatti da sempre il motore dell’Unione europea e senza dubbio un loro accordo finirebbe con il pesare molto sul compromesso finale.
Il recente documento di un gruppo di economisti francesi e tedeschi sulla riforma dell’euro merita dunque una riflessione attenta. Naturalmente, si tratta del lavoro di un gruppo di studiosi, non di un accordo tra cancellerie. Ma tra questi accademici siedono anche numerosi “consiglieri del principe”, in diretto contatto con i propri governi, e le proposte fanno esplicito riferimento a quelle della Commissione, per accoglierle, criticarle o superarle; sarebbe dunque sbagliato derubricare il documento a semplici idee di un gruppo di ben intenzionati, ma irrilevanti osservatori.
Il documento è troppo tecnico per poterlo discutere in dettaglio. Ma nel complesso, non si tratta di buone notizie per il nostro paese. Rispetto a un analogo documento tedesco uscito qualche mese fa (il famigerato “non paper” di Wolfgang Schäuble, la proposta franco-tedesca è più moderata, riconosce la necessità di procedere simultaneamente su riduzione e assicurazione dei rischi e contiene diverse idee ragionevoli. Ma nel complesso sposa l’impostazione tedesca, sia per quello che riguarda l’origine della crisi dell’euro che per le sue soluzioni.
In sostanza, in questa visione, la crisi dell’euro è il risultato del mancato rispetto dei vincoli sulla finanza pubblica da parte di alcuni paesi; e la soluzione può dunque essere solo quella di rendere i vincoli più cogenti, come elemento propedeutico a ipotesi di maggior integrazione fiscale e finanziaria tra i paesi. Non c’è menzione della necessità di coordinare meglio le politiche fiscali, dei problemi che l’elevato surplus commerciale tedesco impone ai partner in termini di impulsi deflazionistici o della necessità di costruire una capacità fiscale a livello europeo, benché fosse una delle proposte principali del presidente francese. Né si discute il fatto che in molti paesi la crisi dell’euro sia stata in realtà generata dall’accumulo di debiti privati piuttosto che di quelli pubblici.

Tutto in mano ai tecnici

La maggior parte delle proposte nel documento si concentrano sulla necessità di ridurre, sia pure gradualmente, il “circuito infernale” tra banche e stati nazionali, imponendo vincoli alla detenzione di titoli pubblici nel capitale delle banche, nella convinzione che questa e non la segmentazione dei mercati finanziari sia la fonte principale di instabilità per l’area euro. La ristrutturazione del debito quando un paese chiede il supporto dell’Esm-European Stability Mechanism non è più un automatismo, come nell’originale documento tedesco, ma resta comunque una possibilità, accompagnata dall’idea che per risolvere il potenziale problema del rifiuto da parte dei detentori dei titoli di debito di accettarne una ristrutturazione, sia necessario imporre regole legali dettagliate che consentano di farlo.
Rispetto al “non paper”, c’è maggior percezione dei rischi che le proposte, se applicate, potrebbero generare sulla sostenibilità delle finanze pubbliche per i paesi ad alto debito; ma sia pure con maggior cautela e con la predisposizione di qualche ulteriore garanzia (per esempio, il completamento della Unione bancaria, qualche fondo a sostegno di paesi colpiti da forti shock asimmetrici) questa resta la dimensione di marcia desiderabile.
Anche sul tema delle regole fiscali, il documento in sostanza appoggia la visione tedesca. Poiché della Commissione non ci si può fidare, è necessario che la sorveglianza dei conti pubblici sia affidata a organismi tecnici esterni indipendenti a livello europeo, lasciando in caso la decisione finale su eventuali sanzioni a organismi politici. In realtà, pur all’interno di una proposta di semplificazione delle regole fiscali apprezzabile (in sostanza, resterebbe solo la “regola della spesa”, resa più o meno cogente a seconda della situazione del debito pubblico), si attribuisce un ruolo ai consigli fiscali nazionali (nel nostro caso, l’Ufficio parlamentare di bilancio) nella predisposizione del quadro di evoluzione delle finanze pubbliche che i paesi devono rispettare, che appare francamente esagerato e a rischio di forti corto-circuiti politici.
Più convincente è la proposta di sostituire le attuali (controproducenti) sanzioni sui paesi che non rispettano i vincoli con l’obbligo di emettere titoli “junior” (cioè i primi che non verrebbero rimborsati in caso di default) per finanziare l’eccesso di spesa, anche se resta il problema del possibile rimbalzo dell’emissione di questi titoli sulla valutazione di mercato di quelli “senior”. L’idea, avanzata da Guido Tabellini, di sostituire i titoli junior con titoli indicizzati alla crescita nominale potrebbe essere preferibile, perché questi ultimi avrebbero lo stesso effetto di disciplina sui governi, in quanto più costosi, evitando nel contempo lo shock del default e delle sue possibili conseguenze sulla sostenibilità del debito.

* Massimo Bordignon è membro dell’European Fiscal Board. Le opinioni espresse nell’articolo sono personali e non impegnano in alcun modo l’istituzione di appartenenza (www.lavoce.inf)

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