Ma il governo snobba le imprese?

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Quei limiti da superare

La legge di bilancio 2019 contiene, all’articolo 19, una serie di interventi per sostenere le imprese e l’innovazione. Sono misure molto eterogenee, che vanno dal rifinanziamento delle “nuova Sabatini”, alla promozione del made in Italy, al sostegno del venture capital, al voucher per il manager per l’innovazione nelle piccole e medie imprese. Il titolo dell’articolo è condivisibile. Lo svolgimento decisamente meno.
Negli ultimi anni sono emersi i limiti del nostro sistema imprenditoriale, caratterizzato dalla prevalenza di piccole imprese con basso tasso di innovazione. Da qui, una serie di provvedimenti per cercare di superarli: agevolazioni alle startup tecnologiche (con la Sezione speciale nel registro delle imprese a loro dedicata), incentivi all’innovazione (iperammortamento e patent box), misure per il rafforzamento patrimoniale e la crescita dimensionale delle imprese (Aiuto per la crescita economica, Ace).
In termini di modalità di intervento, si erano preferite le misure automatiche a quelle discrezionali (basate cioè su bandi), data l’evidenza soverchiante della scarsa efficacia delle seconde rispetto alle prime.

Le misure della legge di bilancio

Dalla legge di bilancio 2019 non emerge un disegno coerente di politica industriale. Tuttavia, è chiaro che il nostro sistema imprenditoriale gode di scarsa fiducia da parte del governo e ha bassa priorità nella sua agenda. La scarsa fiducia si evince dalla preferenza per strumenti discrezionali rispetto a quelli automatici. La bassa priorità dal fatto che i soldi sono pochi, perché le priorità sono altre: e infatti si cancellano provvedimenti utili ma costosi e si sostituiscono con altri di dubbia utilità e con risorse limitate. Si elimina l’Ace, che ha sicuramente contributo al rafforzamento patrimoniale delle nostre imprese, storicamente caratterizzate da bassa capitalizzazione; si riducono gli incentivi automatici agli investimenti Industria 4.0, che avevano riscosso un forte consenso fra gli imprenditori; non è chiaro cosa succederà al credito d’imposta per le spese in ricerca e sviluppo e al patent box. In contropartita, vengono destinati 90 milioni all’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (Ice); 5 milioni ai contratti di sviluppo per grandi investimenti industriali; 50 milioni a un progetto con partner europei sull’intelligenza artificiale; 100 milioni a un fondo per interventi per le aree colpite da crisi produttive; 30 milioni a investimenti in fondi di venture capital; 15 milioni a un fondo per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, blockchain e Internet of things; 25 milioni per i manager per l’innovazione nelle Pmi.
L’intervento a favore del venture capital rappresenta in maniera plastica i limiti della manovra. Il ritardo dell’Italia rispetto agli altri paesi sviluppati è enorme. Come scrive in un suo recente libro (Fuori dal gregge, Egea.) Massimiliano Magrini, uno dei più esperti venture capitalist italiani, in Italia nel 2017 sono stati investiti 151 milioni di euro in Vc, pari a circa un decimo di quanto fatto in economie simili alla nostra, come Francia e Spagna. Con i 30 milioni aggiuntivi, passeremmo dal 10 al 12 per cento di quanto investito in quei paesi: non proprio un risultato eclatante. E speriamo che le scelte su quali fondi investire non siano fatte con procedure “a bando”: servono meccanismi neutrali, incentivanti e ad alto moltiplicatore rispetto all’investimento di altri soggetti. Gli altri interventi hanno limiti simili.
Il punto di continuità con le politiche precedenti riguarda la proroga della “nuova Sabatini”, che prevede agevolazioni in conto interessi per investimenti in beni strumentali. Peccato che, come ho già ho già sostenuto in passato, proprio in questo caso un bel taglio ci sarebbe stato bene: è uno strumento obsoleto e sarebbe ora di mandarlo in pensione, quantomeno nella parte agevolativa degli investimenti ordinari.

Fabiano Schivardi, www.lavoce.info.it

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