Un viaggio con Giotto

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Come Dante, anche Giotto non fu solo artista toscano, ma soprattutto italiano perché esportò il suo linguaggio pittorico nell’intera Penisola, da Padova a Napoli passando per Rimini. A ogni tappa la sua parlata pittorica si ibridava con i diversi accenti regionali, in particolare attraverso l’affresco, la forma che nel Trecento l’intera Italia scoprì come più consona al racconto delle storie sacre o civili, perfetta da srotolare sui muri delle chiese o nei palazzi municipali. A Rimini fu inevitabile che quel nuovo linguaggio toscano prendesse le inflessioni più ricercate della cultura bizantina e dei raffinati arcaismi della Chiesa d’Oriente. Le ragioni erano politiche, ma fondamentale fu anche la vicinanza con gli esempi di Ravenna che certo la parlata robusta di Giotto non poteva spazzare via di colpo. Il suo passaggio a Rimini nel 1300 servì dunque a rinvigorire i modi di pittori, frescanti, miniatori, dal Veneto alle Marche e persino oltre l’Adriatico, in Dalmazia, dando vita a una scuola peculiare e fra le più importanti dopo quelle fiorentina e senese.
Purtroppo i protagonisti — Neri, Giovanni, Giuliano, Zangolo, Francesco, Pietro, Giovanni Baronzio — morirono probabilmente tutti a causa della Peste nera, la terribile epidemia che nel 1348 decimò, oltre a quella di Firenze e Siena, anche due terzi della popolazione riminese e determinò una brusca torsione dello stile verso un arcaismo duecentesco.
Ma c’è anche un altro episodio che rende intrigante il percorso trecentesco riminese ed è il racconto di come il grande affresco del Giudizio Universale (circa 1310) fu riportato alla luce nel 1916, in occasione di un’altra tragica circostanza, quella del terremoto del 17 maggio. La scossa per fortuna non causò vittime, ma fece crollare il soffitto settecentesco che copriva il timpano dell’arco trionfale della chiesa di San Giovanni Evangelista detta di Sant’Agostino: dai calcinacci emerse il Giudizio attribuito a maestranze locali guidate da Giovanni e Giuliano da Rimini.
Restaurato da Giovanni Nave tra il 1917 e il 1925, l’anno dopo fu collocato nel Salone dell’Arengo dove rimase fino al 1944 quando, per sottrarlo alla truppe di occupazione, fu trasferito fortunosamente nella Biblioteca Gambalunga. Da qui fece poi ritorno nell’Arengo (oggi all’interno del nuovo Part) dalle cui finestre si vede la chiesa di Sant’Agostino. Sulle pareti della chiesa superstite dell’età medievale della città, si srotolano gli affreschi con la vita del santo dedicatario, San Giovanni Evangelista, e il trionfo di Cristo con l’immagine della Madonna in Maestà, impresa collettiva di Giovanni, Giuliano e Zangolo.
L’itinerario trecentesco prosegue nel Tempio Malatestiano, la chiesa cattedrale riminese rimaneggiata nel Quattrocento da Leon Battista Alberti. Oltre a conservare il ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera eseguito da Piero della Francesca, espone anche il grande Crocifisso dipinto da Giotto probabilmente dopo gli affreschi di Assisi che avevano reso celebre il pittore presso tutte le chiese e i conventi francescani. Il grande Cristo dipinto a tempera e oro su tavola è stato l’ammirato prototipo, la scintilla di tutti i successivi crocifissi della scuola riminese trecentesca, ma poi è finito dimenticato per secoli fino alla riscoperta negli anni Sessanta dell’Ottocento.
Infine, con un giro ad anello, il percorso si conclude nelle sale del Museo della Città, nella sezione dedicata al ‘300 riminese, dove sono esposti pezzi rari come il Crocifisso Diotallevi, attribuito a Giovanni da Rimini; il Polittico della Crocifissione, con i santi Cosma e Damiano, Caterina e Barbara, su fondo oro; la tavola con le Storie della passione di Cristo di Giovanni Baronzio, o il Polittico dell’Incoronazione della Vergine di Giuliano da Rimini.
E fra le numerose tavole dipinte, sculture e lapidi, c’è anche quella proveniente dal cimitero di San Francesco che ricorda la sepoltura di duemila morti di peste.
1916 l’anno in cui, a causa del terremoto, nella Chiesa di San Giovanni Evangelista, detta di S. Agostino, venne scoperto questo Giudizio Universale (1310), che era nascosto nel grande soffitto
Corto circuito Fu a Rimini che la scuola giottesca assorbì raffinate suggestioni dall’est

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