Scuole riaperte, ma lâabbandono precoce resta un problema
Negli ultimi mesi si è fatto un gran parlare di scuola, di criticitĂ nella gestione della riapertura dopo la lunga pausa forzata dal Covid-19, di infrastrutture fatiscenti, difficoltĂ organizzative, limiti della didattica a distanza, banchi a rotelle e tanto altro ancora. Vi sono state molte critiche alla gestione dellâemergenza, a volte giuste e costruttive, ma spesso ingenerose e demagogiche, rivolte a chi ha fronteggiato un evento senza precedenti.
Nella foga dello âscarica-barileâ, uno sport popolare nel nostro paese, ci si è troppo spesso dimenticati che i problemi dellâistruzione e della formazione sono profondi, hanno radici lontane e nulla si è fatto nel corso degli anni per porvi rimedio. Un recente studio della Commissione europea, sul sostegno dei fondi strutturali allâistruzione e alla formazione, fornisce un quadro della situazione italiana e unâanalisi degli investimenti del Fondo sociale europeo (Fse) nel periodo 2014-2020.
Nel periodo considerato, i fondi europei hanno operato in un contesto difficile. Il tasso di abbandono scolastico è diminuito pochissimo in Italia, dal 15 per cento nel 2014 al 14,5 per cento nel 2018, rimanendo tra i piĂš alti dâEuropa e ben sopra la media Ue (10,6 per cento) (figura 1). Nel Vecchio Continente in una classe di venti alunni, due abbandonano la scuola precocemente, mentre in Italia, in una classe delle stesse dimensioni, sono tre gli studenti che lasciano gli studi prima dei 16 anni. Un problema che riguarda in primo luogo le regioni del Sud. Dunque, se è vero che la pandemia ha costretto tutti a casa, non dimentichiamo che la fuga dallâistruzione, da noi, è iniziata ben prima del lockdown.
Competenze e lavoro
Allâabbandono scolastico precoce si aggiunge una qualitĂ mediocre dellâapprendimento, soprattutto nel Mezzogiorno, dove i test Pisa indicano che nella lettura, in matematica e nelle scienze gli studenti italiani ottengono risultati al di sotto della media Ue, senza mostrare, negli ultimi anni, segni di miglioramento. Se poi rivolgiamo lo sguardo allâistruzione universitaria, il panorama non migliora. Per esempio, il tasso di completamento dellâistruzione terziaria è sĂŹ aumentato, dal 23,9 per cento nel 2014 al 27,8 per cento nel 2018, ma risulta sensibilmente piĂš basso della media Ue (40,7 per cento).
Anche la partecipazione degli adulti allâistruzione e alla formazione è insufficiente. Infatti, il tasso di partecipazione è rimasto stabile allâ8,1 per cento negli ultimi anni, mentre è pari allâ11,1 per cento in Europa (figura 3). Vi sono poi forti disparitĂ territoriali e di genere nelle opportunitĂ di lavoro, che si riflettono in un tasso di occupazione dei giovani laureati piĂš basso al Sud e tra le giovani donne.
La questione delle risorse
Ă un dato di fatto che la spesa pubblica per lâistruzione è piĂš bassa che in altri paesi avanzati ed è persino diminuita: dal 4,5 per cento del Pil nel 2005 al 3,8 per cento nel 2017. Mentre la spesa per la prima infanzia e la scuola primaria è rimasta invariata allâ1,5 per cento del Pil nel periodo di programmazione corrente, la spesa per lâistruzione secondaria è scesa dallâ1,8 per cento del Pil nel 2014 allâ1,7 per cento nel 2017 e la spesa per lâistruzione terziaria è diminuita dallo 0,4 per cento del Pil nel 2014 allo 0,3 per cento nel 2017.
In questo contesto, il Fondo sociale europeo ha destinato 5,5 miliardi nel 2014-2020 (circa 782 milioni lâanno) a interventi contro lâabbandono scolastico (48 per cento del totale), a iniziative per migliorare lâaccesso allâeducazione terziaria (19 per cento), allâapprendimento permanente (8 per cento) e allâavvicinamento dei sistemi di istruzione al mercato del lavoro (25 per cento) (figura 4). I progetti finanziati contano circa 1 milione e 700mila partecipazioni e, per esempio, sono stati importanti per sostenere lâistruzione fuori dallâorario scolastico ordinario, per sviluppare competenze di base e digitali, per la lotta al disagio o per la formazione professionale. Nonostante i risultati ottenuti, lâefficienza nellâutilizzo delle risorse non è stata pienamente soddisfacente se si considera che lâItalia ha speso il 23 per cento delle risorse programmate a fine 2018, contro una media Ue del 27 per cento. Ciò riflette principalmente i ritardi nellâavvio dei programmi operativi, che anzichĂŠ partire nel 2014 hanno dovuto attendere lâapprovazione della riforma della âBuona scuolaâ, insieme a una limitata capacitĂ progettuale e amministrativa legata a insufficiente personale competente nella gestione dei progetti.
Ma questo non è il solo problema. Da un punto di vista finanziario le risorse europee sono come gocce nel deserto: il loro ammontare è limitato, visto che rappresentano circa lâ1,2 per cento della spesa pubblica annuale per istruzione, e quindi dovrebbero integrare lâazione dello stato, favorendo la sperimentazione di interventi innovativi. Di fatto, invece, vengono utilizzati per tamponare la mancanza cronica di investimenti pubblici. O lâItalia si decide a sostenere seriamente lâistruzione, tagliando spese meno strategiche, oppure non câè speranza di risolvere i problemi. Non ci si lamenti poi della perdita di competitivitĂ , della disoccupazione giovanile e della fuga dei cervelli. Se câè un âproblema scuolaâ, la causa non è il Covid, ma sono le scelte fatte dalle classi dirigenti da molti anni a questa parte, e da chi le ha votate, che hanno preferito non investire sul futuro dei giovani. I fondi di âNext Generation EUâ (circa 200 miliardi complessivi) e Fse+ (15 miliardi) sono una grande opportunitĂ che non va sprecata, ma da soli non bastano. Ă necessario che lo stato faccia la sua parte.
Andrea Ciffolilli, da www.lavoce.info