L’Italia chiamata a scegliere tra il bipartitismo e il bipolarismo

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Una domenica caratterizzata dall’appuntamento al voto nel nostro Paese:   si vota in città come Milano, Torino, Firenze, Bologna per i ballottaggi delle elezioni comunali e provinciali del 6-7 giugno; ma si vota anche per il referendum che mira ad abrogare parzialmente tre articoli di legge per l’elezione del  nostro Parlamento. Una domenica  caratterizzata da scenari mondiali particolarmente tesi come in Iran, dove le tensioni non sembrano diminuire e nel vicino Iraq si contano almeno 46 morti e più di 160 feriti in un attentato compiuto con un camion bomba a Taza,  una ventina di chilometri a sud di Kirkuk.

Ancora sangue, ancore disordini e tensioni nello scacchiere mondiale musulmano.  Una stessa situazione che ci pare aver vissuto all’epoca dello scià quando l’allora regime si illuse di tenere la situazione sotto controllo usando la forza, impiegando l’esercito nel contenere le proteste delle piazze. Ora come allora, ci appare che la situazione sia prossima a degenerare, corroborati soprattutto dalla circostanza che i due protagonisti, il due vincitore duo Khamenei/Ahmadinejad e lo sconfitto, Mirhossein Mussavi (che chiede  gran voce l’annullamento delle elezioni per brogli, non abbiamo nessunissima intenzione di confrontarsi, di misurarsi attraverso il dialogo e la conciliazioni delle tesi più ragionevoli (quelle che vanno nella direzione del fare il bene di una nazione e non quelli di carattere corporativistico).

In questo sfondo in cui l’Italia sembra più impegnata a leggere le trascrizioni delle telefonate tra rappresentanti politici e giovani ragazze in cerca di avventure o notorietà, anziché occuparsi di cose inerenti  la nostra democrazia, come l’appuntamento con il voto referendario. Istituto, questo, di estrema democraticità, in quanto si chiama il popolo (tutto,almeno nelle intenzioni) a esprimersi attorno ad un quesito particolare. Come fu sessant’anni fa circa, per decidere se l’Italia doveva essere una monarchia o una repubblica; come fu (più recente) il divorzio e così via. E’ anche vero che negli ultimi anni, l’istituzione è stata un tantino esautorata nei suoi principi e nelle sue finalità in quanto sono state annullate le ultime edizioni in quanto non era stato raggiunto il numero che avrebbe fatto raggiungere la validità dell’appuntamento con il voto.

E tutto lascia presupporre che anche questa volta ci si trovi dinanzi a questa fine della storia: il timore è che non si superi il quorum del 51 per cento degli aventi diritto al voto. Ragion per cui sarà invalidato questo ennesimo appuntamento con le schede. La data del ballottaggio in coincidenza con l’espressione referendaria non avviene per caso. Ci si ricorderà infatti quanto Franceschini avesse insistito nel “raggruppare” insieme voto delle amministrative, provinciali e europee con i referendum, poi tutti noi conosciamo come è andata a finire. O come la Lega (che sostiene l’attuale governo) abbia dichiarato ai quattro venti che non andrà a votare; naturalmente se lo sostiene significa che ha il suo bel tornaconto in termini politici.

Negli ultimi giorni siamo stati bersagliati da trasmissioni televisive in cui le varie formazioni si attaccavano l’una con l’altra. Se l’elettore doveva decidere e capire come pronunciarsi nel voto, devo dire che le cose non sono andate affatto così: perché in Italia tutti hanno ragione, tutti intendono far prevalere le loro richieste, tutti giudicano pesantemente i loro avversari.

In verità, il quadro in cui ci si dovrà muovere è sostanzialmente semplice: se si vuole il bipartitismo secco  (due formazioni politiche che di volta in volta si alterneranno al potere), si voterà “Sì”. Se invece si è per più partiti che potranno allearsi tra loro, si voti “no”. Semplice, no?

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