A margine dell’insegnamento della religione e dei dialetti nelle scuole

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1971

   Appare curioso che, nel periodo in cui gli Italiani si godono il tanto atteso momento delle ferie, torni alla ribalta la scuola. Atteggiamento curioso. Curioso perché, come quando eravamo ragazzi e lucidavamo con i gomiti i piani rialzati dei banchi, ci astenevamo da sapere notizie relative alla scuola: sentivamo l’istituzione ancora troppo lontana, con il solleone che ci batteva in testa e la salsedine che cresceva sulla nostra pelle a dismisura (all’epoca della mia infanzia ancora non erano state attrezzate le spiagge con le docce, come lo sono oggi). E le scuole, nel periodo cui faccio riferimento, iniziavano il primo ottobre. Quindi ci potevano dire “tutto” sulla scuola, tanto non recepivamo; eravamo fuori da quella realtà. Universo lontano galassie dalle nostre attuali attrazioni che erano il mare, la spiagge, le nuotate e le ragazze straniere nelle balere di periferia o nei villaggi turistici della zona. Oggi, invece tutto è anticipato; l’apertura dell’anno scolastico che ci porterà a giugno 2010 e quindi anche i temi di attualità che riguardano la scuola. Fra questi spiccano due di interesse nazionale. Il primo: riguarda la recente decisione assunta dai giudici che dichiarano sia ingiusto far partecipare agli scrutini gli insegnanti di religione. Il secondo: la bozza di legge presentata da Bossi (Lega) per quanto riguarda l’insegnamento del dialetto nelle scuole italiane al posto della cosiddetta lingua ufficiale nazionale. Due temi caldi, che tengono desta l’attenzione dei cittadini. Ma vediamo di fare un momento di chiarezza. L’esclusione dell’insegnante di Religione nel momento per così dire topico della stagione scolastica dell’alunno,cioè gli scrutini. La trovo un tantino forzata. Nella ormai lunga carriera di docente nelle scuole italiane di Stato, ho sempre (e sottolineo l’avverbio) notato il comportamento dell’insegnane di Religione che spesso si prodigava nel presentare il caso più difficile della classe, facendo appello a quelli che sono i problemi contingenti che il preadolescente o il ragazzo si trova a affrontare. Era sempre, quella dell’insegnate di Religione, la voce che usciva dai parametri classici delle abilità e delle conoscenze richieste dal discente, per avere la patente a frequentare una classe di grado superiore. E questa circostanza l’ho sempre salutata in maniera positiva e anche salutare (se si ragione in termine di favorire il ragazzo, dargli le opportunità senza bocciarlo e fermarlo nella classe cui apparteneva). Leggo invece che non appare giusto dare una chance del genere a chi pratica questa religione in confronti di altri che professano confessioni differenti. Un simile ragionamento, secondo il mio parere, non funziona; non può funzionare, perché è vero che la nostra società si sta muovendo verso una globalizzazione razziale, ma è altrettanto vero che attualmente non siamo preparati a accogliere nel mondo scolastico altri docenti che sono (che so io?) musulmani, animisti, buddisti o che altro ancora. Perché, nella maggioranza dei casi, si tratta di persone che sono state ospitate nel nostro Stato. Stato che è profondamente cattolico, che ha radici nel cattolicesimo; ragion per cui (parlo in riferimento a chi chiede ospitalità da noi) una persona che decide di diventare cittadino italiano non può pretendere, fra tutti i benefici di legge che già di per sé sono previsti e sanzionati, anche quelli di mettere alla porta l’insegnante di Religione cattolica solo perché non si trova un altro pari grado della sua professione di fede. Trovo il provvedimento assai discutibile, e questa volta, a mio parere, il ministro Gelmini ha fatto bene a ricorrere al Consiglio di Stato, per avere una sentenza equa in termini legislativi. Non si può pretendere che non ci sia circolazione umana nel nostro Pianeta. Che l’individuo si debba sentire libero di andare dove vuole e quando vuole! Bene. Che ci sia pure circolazione e spostamento di persone da una parte all’altra degli emisferi terrestri. Ma così non si risolve il problema del Sud (povero) del Pianeta, contro un Nord (ricco) sempre più tecnologizzato. Come non si può pretendere che si venga in casa nostra e non si rispettino quelle che sono le regole dell’ospitalità. Ce l’hanno insegnate i Greci: ora non possiamo assistere a quello che nei secoli precedenti non è stato permesso (la mussulmanizzazione dell’Europa). Che essa avvenga invece con tutta pace delle nostre istituzioni e delle leggi del nostro Stato. E passo al secondo quesito che reputo sia una boutade agostana. I dialetti. Non dovevamo certo aspettare Bossi , perché si desse nelle scuole importanza alle culture locali, e si desse spazio alle entità del posto; un procedimento che ritengo sia stato praticato per tempo. Mi preoccupa invece l’impostazione: secondo la quale occorre passare a insegnare il dialetto a scapito di quella che viene considerata la lingua nazionale. Una “vexata questio” che ha fatto versare fiumi d’inchiostro. Anche in questo caso ci vuole equilibrio. Misura. E’ vero che ai ragazzi va insegnato chi eravamo nel nostro comprensorio, nel nostro quartiere; come pure va allargato il discorso in chiave nazionale, dove si debba fare i conti con le nostre identità di Stato, in rapporto con gli altri Paesi dell’Unione Europea.

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