Deficit del surfattante, Raffaele è vissuto solo 19 mesi e la diagnosi è arrivata alla fine

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Roma – Nessun medico ha preso l’ipotesi in considerazione per mesi. Non avrebbero mai creduto che quel test lasciato per ultimo avrebbe dato risposta positiva: deficit della proteina C del surfattante.

E’ una malattia genetica rarissima, negli ultimi 10 anni è stata diagnosticata in 9 bambini circa.

Per Raffaele come per gli altri è stata fatale: il 21 agosto scorso, dopo 5 mesi di ricovero in terapia intensiva all’Ospedale Santobono di Napoli, la malattia lo ha portato via.

La mamma, Annalisa, ha scelto di raccontare la storia del suo angelo a Osservatorio Malattie Rare.

“Parlarne è doloroso – dice – ma può servire a far conoscere questa malattia, a far si che la diagnosi arrivi prima. Noi l’abbiamo saputa proprio alla fine, perchè Raffaele ha resistito moltissimo nonostante cuore e polmoni fossero devastati: chissà quanti, però, non hanno mai una diagnosi”.

“Raffaele è nato l’8 gennaio 2009, era un bambino sano – racconta Annalisa – fino a dicembre nessun problema particolare, a 10 mesi cominciava già a camminare, era molto vivace”. “I problemi sono cominciati a dicembre 2009, mangiava poco ed era pallido. Ci hanno fatto fare una serie di analisi e non è emerso nulla, dovevamo stare tranquilli dicevano (…) A febbraio si è aggravato, è arrivata una brutta tosse secca, con attacchi molto forti e le labbra che si facevano viola. A quel punto lo abbiamo portato al pronto soccorso dell’ospedale della nostra città, Vico Equense. Con una radiografia ai polmoni trovarono la bronchiolite (…) C’erano altri bimbi con la bronchiolite, ma mi accorsi subito che qualcosa non andava. Raffaele in 5 giorni non ebbe alcun miglioramento nonostante cortisone e antibiotici. Allora sospettai che era una cosa più grave”.

Il bimbo viene ricoverato al Policlinico di Napoli. “Il 9 aprile, in seguito ad una di quelle crisi che lo facevano diventare viola, il primario decise che andava trasferito in rianimazione, è stato l’ultimo spostamento. Raffaele è rimasto lì fino a quel 21 agosto. Dalle radiografie si vedevano i polmoni in pessime condizioni, era in atto una fibrosi interstiziale, gli hanno anche fatto una biopsia polmonare. Intanto mio figlio era stato tracheostomizzato, ma non bastava, dovevano tenerlo sedato, perchè era da sveglio che arrivavano le crisi peggiori. Ho visto morire mio figlio tante volte, perchè quando aveva quelle crisi i valori scendevano al minimo, è un’esperienza bruttissima”.

A luglio ormai i medici non si spiegavano nemmeno come facesse quel bimbo di un anno e mezzo, con i polmoni distrutti, a resistere, tutte le analisi genetiche erano andate a vuoto, rimanevano pochissimi esami da provare.

“Ricordo ancora – dice Annalisa – quando il 5 luglio mi chiesero di firmare il consenso per il test della proteina C del surfattante, i medici non credevano proprio si trattasse di quella rarissima malattia, ma ormai dovevano provarle tutte.
Quando 10 giorni dopo arrivò il risultato positivo rimanemmo tutti sconvolti.
Avevamo trovato la malattia.
Ci dissero che di casi come quello ce ne erano stati pochissimi, solo dopo ho saputo che nel 2005 ne erano stati registrati otto”. Era la metà di luglio e c’era la diagnosi, a quel punto i medici ci proposero di usare un farmaco sperimentale normalmente utilizzato contro la malaria, la Clorochina: nonostante gli effetti collaterali accettammo di provarla alla dose di mezza compressa al giorno”.

La Clorochina bifosfato è un farmaco Bayer che ha indicazione proprio per il trattamento di 4 tipi di malaria e per alcune malattie autoimmuni; in passato aveva dato miglioramenti a bambini con questo deficit. “Anche dall’estero è stata l’unica indicazione – dice Annalisa – un centro americano di ricercatori si offrì di vedere mio figlio ma era improponibile spostarlo, avrei voluto portarlo al Bambino Gesù a Roma, ma a quel punto anche quello era troppo rischioso”.

Raffaele ha cominciato il 4 agosto la terapia con la Clorochina, forse era troppo tardi, il suo fisico troppo stanco, o forse il suo era uno di quei casi in cui il farmaco non ha benefici, comunque la prova è durata poco.

Il 21 agosto ha avuto due arresti cardiaci, al primo riuscirono a rianimarlo, la seconda volta no, aveva 19 mesi.

E’ ITALIANO IL MASSIMO STUDIOSO DI QUESTA MALATTIA: E’ IL DOTTOR MARCO SOMASCHINI

AL SAN RAFFAELE DI MILANO IL CENTRO DI RIFERIMENTO CHE ESEGUE TEST ANCHE PER GLI STATI UNITI.

“Ho cominciato ad interessarmi ai deficit della proteina del surfattante nel ’99, quando lavoravo al San Raffaele come aiuto neonatologo. C’era un bimbo per il quale sospettavamo la malattia, ma il test, che l’ha poi confermata, dovemmo farlo fare negli Stati Uniti. In Italia non lo eseguiva nessuno e proprio allora cominciammo a pensare di darci da fare”.

Così che nacque, circa 10 anni, fa quello che oggi è un centro di eccellenza per la diagnosi di questo gruppo di malattie.

A raccontarlo ad Osservatorio Malattie Rare è il dottor Marco Somaschini, uno dei massimi esperti al mondo; al suo nome arriverà chiunque cerchi informazioni in merito. Somaschini oggi lavora come Neonatologo presso la Clinica S. Anna di Lugano, in Svizzera, ma tutt’ora ha un contratto da ricercatore al San Raffaele. Il gruppo che si occupa di queste malattie e con il quale collabora opera, per l’esattezza, presso l’Unità di Genomica per la Diagnostica delle Patologie Umane, Centro di Genomica Translazionale e Bioinformatica dell’Istituto Scientifico San Raffaele di Milano, diretta dal prof. Maurizio Ferrari, nello specifico nel laboratorio di Genetica molecolare diretto dalla dottoressa Paola Carrera.

È qui che si raccoglie la più ampia casistica nazionale, qui che vengono anche svolti, se pur solo in un numero molto selezionato di casi, i test di diagnosi prenatale. Ad oggi al San Raffale sono stati fatti circa 170 test diagnostici e anche sei test di diagnosi prenatale attraverso il prelievo dei villi coriali. “Alcuni di questi li abbiamo fatti anche per conto di centri negli Usa che per motivi legislativi non potevano eseguirli – dice Somaschini – Non lo facciamo per tutte le forme, ma solo quando c’è la certezza che un risultato positivo significherebbe inequivocabilmente la morte del neonato”.

È sempre in questo centro di eccellenza italiano che, recentemente, sono state fatte nuove scoperte sulla malattia. “Per la forma di deficit che colpisce la proteina ABCA3 – dice Somaschini – che, pur nella rarità della malattia è la più diffusa, sono state individuate un centinaio di diverse mutazioni del gene responsabile. Da poco, proprio al San Raffale, i ricercatori hanno trovato 13 nuove mutazioni mai descritte in letteratura. Ora stiamo cercando di trovare una correlazione genotipo-fenotipo, cioè capire che sintomi e prognosi darà una determinata mutazione: è un tipo di studio di grande valore ma anche difficoltoso vista la scarsità dei casi a disposizione”.

Sempre al San Raffaele è stato fatto un interessante studio sulla forma di malattia che deriva dal deficit della proteina C. “Abbiamo studiato il caso di una famiglia italiana composta da 25 persone – racconta Somaschini – Lo studio è cominciato in seguito alla morte di una bimba di 5 anni a causa di questa malattia. Abbiamo studiato la sua famiglia e trovato la stessa mutazione in 12 persone, dunque nella metà dei componenti, ma con una variabilità enorme nelle manifestazioni cliniche. Una zia aveva sviluppato un quadro di Fibrosi polmonare ed attualmente è in attesa di trapianto. Molti non avevano particolari sintomi, ma quello che più ci ha sorpreso è stato che ad essere positiva al test molecolare era anche la nonna, che era giunta in età avanzata, aveva avuto figli ed era ancora viva. Questo ci mostra quanto la malattia sia eterogenea nelle sue manifestazioni e nella prognosi. Proprio per questo motivo per i deficit di proteina C non eseguiamo diagnosi prenatale”.

Proprio per il fatto che al centro del San Raffaele passa la gran parte delle casistica italiana è possibile sapere quanti casi per ciascun tipo di malattia ci sono stati nel nostro paese.

“Per il deficit della proteina B – dice Somaschini – che è la prima forma ad essere stata scoperta, nel 1994, in Italia abbiamo avuto tre casi tra i neonati e tutti e tre sono deceduti. Per quanto riguarda il deficit della proteina C, scoperta nel 2000, abbiamo avuto circa 5 pazienti, due dei quali sono deceduti mentre tre sono ancora vivi. Per il deficit dell’ABCA3, scoperto solo nel 2004, abbiamo avuto una quindicina di neonati, tutti deceduti, e 9 bambini attualmente vivi che presentano il quadro della polmonite interstiziale”.

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