I batteri riducono la contaminazione nel Mar Piccolo

Uno studio dell’Irsa-Cnr, effettuato in scala di laboratorio, ha dimostrato per la prima volta che nel sedimento marino del Mar Piccolo di Taranto sono presenti microrganismi in grado di ridurre in modo efficiente il livello di contaminazione da policlorobifenili (Pcb). I risultati sono pubblicati su Frontiers in Microbiology

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“Molti contaminanti tossici e recalcitranti, quali i policlorobifenili (Pcb), si possono accumulare nei sedimenti dei nostri mari”. A parlare è Simona Rossetti, ricercatrice dell’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche (Irsa-Cnr), che nell’ambito del Progetto bandiera ‘Ritmare’ ha firmato uno studio sul Mar Piccolo di Taranto dimostrando le potenzialità di biorecupero dei sedimenti contaminati. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Frontiers in Microbiology.
I risultati dello studio sono seguiti dal Commissario straordinario per gli interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto, Vera Corbelli che ha sottoscritto un accordo con il Dipartimento scienze del sistema terra e tecnologie per l’ambiente (Dta-Cnr) e con l’Università degli studi di Bari Aldo Moro per valutare possibili applicazioni a scala reale. “Abbiamo dimostrato che nel sedimento del Mar Piccolo sono presenti batteri in grado di ridurre notevolmente in assenza di ossigeno il livello di tossicità dei Pcb”, spiega Rossetti. “Lo studio, effettuato in scala di laboratorio, ha dimostrato che la comunità microbica del sedimento è in grado in tempi brevi di ridurre fino al 70% la concentrazione delle forme più tossiche del contaminante”.
Nell’indagine sono state utilizzate metodologie biomolecolari avanzate quali il Next generation sequencing (Ngs). “Questo metodo consente di ottenere una grande quantità di informazioni sull’identità dei batteri presenti”, conclude la ricercatrice dell’Irsa-Cnr, “e di descrivere la struttura e la composizione dell’intera comunità microbica del sito marino in questione. La scoperta ha dunque posto l’accento sull’efficacia del biomonitoraggio come strumento d’indagine in aree fortemente inquinate e pone le basi per una successiva e più dettagliata valutazione della fattibilità di interventi di risanamento biologico in siti contaminati in piena scala”.

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