
Esperti, false credenze e politiche sbagliate
Lโemergere e lโaffermarsi di false credenze in contrasto con il progresso scientifico (certo non una prerogativa esclusiva dellโeconomia come si รจ visto nel dibattito sui vaccini e sul contributo dellโuomo al cambiamento climatico) porta allโadozione di politiche errate. Per questo, lo ha detto chiaramente Esther Duflo, la piรน giovane premio Nobel per lโEconomia di sempre, in una recente intervista con il Financial Times, โgli economisti dovrebbero parlare di piรน: se la gente non si fida degli esperti in parte รจ perchรฉ gli economisti accademici piรน bravi, temendo di essere fraintesi, lasciano spazio a ideologi e opinionistiโ.
Non รจ lโunica interpretazione di quello che sta succedendo. Unโaltra โ al primo posto della breve lista di tre ricette per battere il populismo elencate da Guido Tabellini su questo sito โ รจ che โprima di tutto, gli economisti non devono vendere false certezze. Lโeconomia ha molte implicazioni rilevanti per la politica economica, e ormai ci sono tante conoscenze pratiche che possono informare le decisioni politiche. Tuttavia, in economia non vi sono leggi universali che valgono con esattezza e precisione e la nostra capacitร di prevedere le conseguenze di specifiche azioni รจ comunque limitata. Far valere il principio di autoritร scientifica anche quando non vi sono conoscenze consolidate, o esagerando la portata della nostra conoscenza, รจ controproducente perchรฉ alimenta lo scetticismo e giustifica le critiche ideologiche. Non sempre gli economisti si sono astenuti dal commettere questo errore, anche da noiโ.
Economisti che parlano troppo pocoโฆ
Insomma, gli economisti parlano troppo poco come dice Esther Duflo o parlano troppo o a sproposito come sostiene Guido Tabellini? La risposta รจ un deludente โdipendeโ. Nello stesso articolo Tabellini ricorda infatti alcune affermazioni su cui la maggior parte degli economisti probabilmente concorda. Per esempio, la quasi totalitร degli esperti probabilmente รจ dโaccordo sul fatto che lโadozione di unโaliquota di imposta unica al 15 per cento (la flat tax pubblicizzata per mesi dal leader della Lega Matteo Salvini) al posto dellโattuale sistema di quattro o cinque aliquote progressive tutte ben superiori al 15 per cento porterebbe con sรฉ una riduzione delle entrate e un aumento del deficit pubblico. Nello stesso modo, affermare che un aumento della spesa pubblica finanziato in disavanzo per accelerare la crescita farร scendere il debito pubblico in percentuale sul Pil รจ difficile da argomentare algebricamente prima ancora che logicamente. Eppure, i populisti di destra e di sinistra hanno di recente spesso avanzato queste proposte semplicistiche e trovato solo raramente unโefficace interlocuzione da parte di esperti o giornalisti.
โฆed economisti che parlano troppo
Contrastare le falsitร sopra elencate non รจ impossibile se gli economisti rimangono sui terreni che conoscono meglio, perchรฉ di fronte a un opinionista o influencer che afferma che โfacendo piรน deficit scende il debitoโ รจ possibile fare affermazioni basate su un solido insieme di conoscenze consolidate.
Il contributo degli studiosi e delle studiose diventa perรฒ piรน difficile quando si esce dagli ambiti su cui la ricerca e lโalgebra forniscono indicazioni precise. Prima del fallimento di Lehman Brothers del settembre 2008 cโera una diffusa percezione che le politiche di quel periodo fossero insostenibili, perchรฉ troppo debito era stato assunto da soggetti sostanzialmente incapaci di valutarne le conseguenze per sรฉ stessi (i mutuatari) e per le istituzioni di cui facevano parte (i trader come Jerome Kerviel). Ma nessuno (nemmeno Nouriel Roubini e nemmeno Raghuram Rajan, per citare due economisti che la crisi lโavevano capita meglio degli altri) era in grado di affermare con certezza quando e come il terremoto finanziario si sarebbe manifestato. E le Cassandre economiche che non sanno documentare con precisione le loro visioni rischiano di far perdere soldi ai risparmiatori e agli azionisti delle loro aziende tanto quanto quelli che la crisi non lโhanno vista arrivare o che lโhanno nascosta con i loro comportamenti fraudolenti. La veritร รจ che uno strumento per prevedere con un ragionevole grado di approssimazione il verificarsi e il momento preciso di una crisi finanziaria non รจ parte delle โconoscenze consolidateโ di cui lโeconomia puรฒ vantarsi.
Un altro esempio utile suggerito da Esther Duflo nella sua intervista con il Financial Times รจ dato dallโeccessiva fiducia che molti economisti e consulenti governativi spesso ripongono nellโefficacia degli incentivi monetari nel favorire lo sviluppo economico. Un esempio rilevante per lโItalia riguarda gli aiuti alle imprese. Malgrado gli studi della Banca dโItalia giร nel 2006 abbiano mostrato che i sussidi alle imprese siano stati generalmente inefficaci, incentivando spesso investimenti che sarebbero stati effettuati comunque e spesso penalizzando gli imprenditori piรน capaci, le aziende italiane โ a distanza di almeno tredici anni da quegli studi โ continuano a essere destinatarie di generose iniezioni di sussidi pubblici anche perchรฉ quando arriva la stagione della legge di bilancio รจ troppo tardi per fare le riforme che servirebbero (nel campo della giustizia, dellโistruzione, dei trasporti, del welfare) e cosรฌ un ennesimo sussidio โ di cui la finanziaria di questโanno รจ piena โ diventa il modo pratico per fare qualcosa di visibile agli elettori. Ma quando poi i risultati non arrivano, la reputazione degli economisti (come il consenso dei governi) evapora.
Come uscire dal dilemma
Uscire da questo dilemma sembra facile in linea di principio: basta che gli economisti (e โ perchรฉ no โ gli scienziati, sociali e non) si limitino a fare affermazioni su ciรฒ che sanno. Purtroppo perรฒ la realtร sociale solleva tante domande mentre in economia abbondano le zone grigie, le aree di sapere su cui esistono conoscenze consolidate parziali ma troppo controverse per motivare lโazione politica con sufficiente certezza. Un esempio ne รจ il dibattito sugli effetti delle politiche di austeritร . Se quasi tutti concordano sul loro effetto recessivo almeno di breve periodo, lโampia evidenza proposta nei lavori di Alesina, Favero e Giavazzi ha documentato che tagli di bilancio incentrati sulla spesa sono meno recessivi di tagli di bilancio della stessa entitร effettuati alzando le tasse. Ma altre analisi mostrano che, se oltre al Pil si guarda agli effetti delle politiche di bilancio restrittive sulla distribuzione del reddito, lโappetibilitร dei tagli di bilancio fondati sulla spesa ne esce un poโ ridimensionata. Il che lascia la politica incerta sul da farsi. Come dire che oltre ad accrescere lโesposizione mediatica di chi puรฒ proporre conclusioni solide (come suggerito dalla Duflo) rimane unโalternativa convincente (e noiosa): migliorare ed estendere lโampiezza delle conoscenze consolidate della professione.
Francesco Daveri, da www.lavoce.info