“Mi scambiavano per un pirata del mare”

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Le navi che incrociavo nel canale di Pianosa e in quello della Corsica tiravano dritto,senza fermarsi. Non so se avevano paura o altro. Un panfilo è venuto a trecento metri da me; ma nessuno in plancia si è visto. Forse avevano paura a prendermi a bordo; forse mi avevano preso per un pirata del mare. Ma qui, nel Tirreno, i pirati?

Braccia strette sul petto nudo, mani sotto le ascelle come se dovesse ancora vincere i sintomi di freddo mentre, sdraiato sul lettino del pronto soccorso si sottopone agli accertamenti medici. Gennaro Grillo, 35 ore in balia delle onde, adesso si sente al sicuro. È rilassato, finalmente. La grande paura è passata.

«Posso raccontarla – dice accennando un sorriso – È stata la più brutta avventura che mi sia capitata. Ancora peggiore di quando da giovane, a bordo del peschereccio di mio padre, fummo sequestrati dalle motovedette libiche».

Gennaro, 47 anni, fisico asciutto, da atleta, siciliano d’origine, ma residente a Porto Santo Stefano rivive quei tremendi momenti.
Erano circa le 3,30 della notte tra sabato e domenica, quando lo skipper, dopo aver accompagnato i 18 ospiti della sua barca in una uscita di diving a Punta Fotovaia, ha visto allontanarsi dall’imbarcazione “Marea” il gommone che aveva a traino. Ha invertito la rotta, ed è tornato tra gli scogli di Fetovaia. Ha visto il tender. Lo condizioni del mare non erano eccellenti, ma Gennaro Grillo ha pensato di potercela fare e si è tuffato.

Ha raggiunto il gommone, mentre tutte le persone a bordo del “Marea” cercavano di fare luce con delle torce elettriche. Il gommone era incastrato tra gli scogli, ma lo skipper è riuscito a liberarlo. Subito dopo si è scatenata la bufera con un vento da oltre 120 chilometri orari. Ha remato, Gennaro, fino allo stremo. Ma l’imbarcazione, affidata al suo vice Giancarlo Lucchetti, ha dovuto prendere il largo per non finire sugli scogli.
Anche la radio di bordo era in tilt e l’allarme è stato dato con un telefonino. Dalla base di La Spezia è stato fatto alzare un elicottero della guardia costiera, un altro dei vigili del fuoco è arrivato da Arezzo, uno lo hanno inviato i carabinieri. Quaranta ore complessive di volo. Mentre le motovedette della guardia costiera e della polizia penitenziaria, a cui si sono aggiunte imbarcazioni private, hanno cominciato a pattugliare, un rettangolo di 25 miglia per 15 tra Montecristo, Pianosa e Fetovaia.

Trentacinque ore. Poi dall’alto il pilota di un elicottero ha scorto un puntino rosso, la maglietta di Gennaro. Lo skipper è stato sollevato a bordo, poi a tutta velocità verso l’aeroporto della Pila. E’ salvo Gennaro. «Neppure un graffio dice il medico che lo ha accompagnato al pronto soccorso. E’ solo molto stanco».
«Il momento peggiore? Quando mi sono girato e non ho più visto la nostra barca – racconta lo skipper -. Mi sono trovato solo in mezzo alla tempesta. In quel momento mi è passato per la testa il pensiero di non farcela. Di perderci la vita».
Tira un sospiro di sollievo, poi continua: «Dovevo assolutamente recuperarlo il gommone di salvataggio. Sono riuscito a salire a bordo ma, quando si è trattato di afferrarmi di nuovo alla cima della barca un turbine e la corrente marina in un attimo mi hanno portato a largo. E stata una questione di secondi: poi ci siamo persi, col mare mi portava sempre più a largo».
Il gommone aveva il tubolare sinistro semisgonfio e Gennaro si è seduto sull’altro lato. «Ho cominciato a organizzarmi per passare la notte». Le correnti prima lo portano in direzione di Pianosa, poi verso Montecristo; di giorno lo spingono in Corsica per poi avvicinarlo di nuovo a Pianosa.
«Che cosa ho patito di più? La sete e il freddo. Per fortuna che la prima notte è piovuto cosicché ho potuto rimediare, ma domenica e ieri mattina faceva caldo. La fame non mi ha dato da pensare». Indosso una maglietta, pantaloncini corti e un paio di ciabatte. Indumenti zuppi dal mare e dalla pioggia. «Quando ero a bordo del canotto sapevo benissimo che dovevo stare molto attento a non farmi capovolgere dalle onde grosse. Mi dicevo: se il mare mi rovescia per me è finita. Quanto avrei potuto resistere in mare? Dieci, dodici ore? Poi l’assideramento mi avrebbe finito. Di notte che stavo più attento, perché non sai dove ti trovi e da che parte viene l’onda. È stato allora che ho fatto appello a tutta la mia esperienza di pescatore. Da trent’anni vado in mare e posso dire che conosco come si deve portare una barca». Il motore del gommone era per metà allagato. «Ho cercato inutilmente di metterlo in moto, ma non c’è stato verso: ero in balia delle correnti».
Poi dei piccoli segnali di speranza. «Nel Canale di Corsica e di Pianosa – dice – ho incontrato navi, facevo segnali, ma niente: nessuno si è fermato. Un panfilo mi è venuto a trecento metri, si allontanava e poi ritornava: ma non mi hanno preso a bordo». Un’altra notte, allora, da passare all’agghiaccio. Poi, lunedì mattina la salvezza. «Ho sentito il rumore dell’elicottero. Prima è passato molto lontano, ha girato ed è scomparso. Poi è riapparso, veniva dritto su di me: non avevo dubbi, mi avevano visto. Ero finalmente salvo».

Luigi Cignoni

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2 Commenti

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