Pasqua secondo padre ​Ernesto Balducci

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Essere un lievito nuovo, pasta nuova, significa liberarci dal vecchio fermento di morte. Non è un compito semplice, perché implica una consegna di vita del tutto libera da ogni ipoteca di complicità con le forze di morte. Siccome il sistema in cui siamo inseriti è, in tutte le sue articolazioni, dominato e attraversato dal virus della morte, noi dobbiamo, in tutti i nostri contatti con la realtà, invertire la rotta, cambiare il sistema di vita. Lo possiamo fare. Nei rapporti privati, liberandoci totalmente dallo spirito di antagonismo, nei rapporti pubblici abolendo la categoria del nemico che va odiato e distrutto – questo ci hanno insegnato – per restituire le dialettiche umane alla loro altezza morale, alla loro dignità razionale. Non siamo uguali, siamo diversi e la diversità implica confronti e a volte competizioni, ma dentro questa pregiudiziale, che si ispira al senso della vita, che ogni modo di prevalere sull’altro con la forza, con la coazione fisica o ideologica, è contro la vita. Dobbiamo inaugurare questo modo di esistere e solo allora parlare di resurrezione. Ricordo la parola di un grande non credente: «Dobbiamo vivere in modo che se Dio esiste abbia torto». Dobbiamo vivere in modo che la morte appaia un assurdo, un segno di ingiustizia. In realtà però viviamo in modo che la morte è quel che ci meritiamo perché siamo suoi complici. Questo cambiamento, questa conversione è il compito di tutti i nostri giorni. Per una specie di rapida omologazione, ciò che di terrificante vediamo sulle frontiere fra i blocchi è perfino dentro una famiglia, è perfino nei nostri rapporti intersoggettivi. Un’oscura lama ci attraversa e siamo portati a combatterci e ad essere seminatori di tristezza e di morte. I segni di questo cambiamento sono sotto i nostri occhi. Un bisogno nuovo di stabilire un rapporto con le cose, con la natura, di liberarci da questa smania febbrile del progresso a prescindere da ciò che esso significhi, da questa corsa ad una produzione fino ad una tale eccedenza del prodotto che non sappiamo più dove metterlo, mentre i nostri fratelli muoiono di fame. Siamo dentro questa follia. Dobbiamo liberarcene. Questo dovere ha un significato morale e politico. La morte di Gesù fu una morte politica e non una morte privata, porta i sigilli dei poteri di quel tempo. Ecco perché l’annuncio pasquale non è fatto per darci una provvisoria esaltazione immaginativa, è fatto per risospingerci alle radici dove noi elaboriamo le nostre scelte fondamentali. È lì che tutto si decide. Dio guarda nel cuore e non alle nostre chiacchiere o ai nostri riti. È in questa profondità, dove noi ci troviamo di continuo al bivio fra morte e vita, che decidiamo di noi stessi e decidiamo del futuro del mondo. Fatta questa riflessione, acquistiamo in qualche modo il diritto di abbandonarci al rito, alle parole sacre, ma contenendole coscientemente dentro la riserva che abbiamo posto: tutto questo è vano, anzi è menzogna se non passa attraverso il filtro del senso di responsabilità che abbiamo cercato di rievocare sulle pagine della Scrittura.

Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” vol. 1

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lettera da San miniato al monte – Corriere Fiorentino 14 marzo 2020Padre Bernardo: «Cari fiorentini…»Nel silenzio della Basilica vi dico: ricuciremo insieme le ali dellanostra cittàdi Padre Bernardo Gianni*C aro direttore,Lei mi ha chiesto un pensiero per le lettrici e i lettori del Corriere Fiorentino attribuendomi, comeimmagino, autorevolezza di parola non certo per quel poco che io sia, ma per l’eccezionalità del luogodove ho il singolare privilegio di vivere. Anzitutto vorrei dirLe di cosa possa essere capace il silenzio diFirenze ascoltato quassù a San Miniato al Monte. Siamo soliti percepirlo in questa radicale intensità solola Domenica mattina molto presto oppure Lall’alba del primo giorno dell’anno, quando è (finalmente)terminata la comprensibile, ma sostanzialmente illusoria gazzarra notturna. Nessuno avrebbe immaginatoquel primo gennaio scorso di tornare di lì a poco a sperimentare, dopo gli anni oscuri del terrorismo edella globale minaccia nucleare di Chernobyl, una sensazione così diffusa e incontenibile di smarrimento,di impotenza di fronte a forze stavolta tanto microscopicamente invisibili quanto quasi invincibilmenteorganizzate nello sgretolare ogni nostra certezza di sopravvivenza personale e sociale. Sul fronte di unasimile emergenza sanitaria, ma direi anche culturale, noi ministri della Chiesa, esperti come dovremmoessere di ben altro Invisibile, abbiamo dovuto cedere alla pur necessaria disciplina di contenimentorelazionale, arrivando a far subire al nostro diletto popolo l’asportazione di quel momento decisivo eirrinunciabile che è la liturgia, col suo festoso apporto di comunione aggregante e di gioiosa e gratuitaliberazione da tutto quello che altrove si spiega e si vive solo come obbligante efficienza e tecnologica,connessione di cause ed effetti.Il mio amato Mario Luzi, per salutare l’imminenza del presente millennio, compose nel 1999 «Opusflorentinum» per raccontare la costruzione della Cattedrale di Firenze quale simbolico e speranzosoraccordo fra passato e futuro di una intera città. In quei versi sublimi la nostra Santa Maria del Fiore, madirei in realtà ogni chiesa del mondo, è immaginata come «laboratorio delle anime», febbrile e«infuocato» opificio dove «si ricoverano gli sperduti… si raccolgono i relitti, si raggiustano i rottami» esoprattutto «si fabbricano ali per il volo in questa officina».Non credo esistano espressioni che ci spieghino meglio cosa sia la chiesa per il Signore Gesù, per il suoVangelo di speranza, per papa Francesco, per tutti noi: un porto sicuro, un molo indistruttibile, una quietadarsena di accoglienza e di mistero dove non solo si riparano le nostre lesioni, ma addirittura si forgianoali per donare a ciascuno di noi la possibilità di volare e assaggiare così l’infinito e l’eterno quali realipotenzialità inscritte nella struttura «aperta» del nostro stesso cuore, vorrei dire il cuore di tutte e tutti,credenti e non credenti. Proprio per questo ci procura dolore nel dolore dover tenere le chiese chiuse,sospendere le liturgie, fermare l’approdo dei bastimenti squassati da onde e rocce traditrici in queste oredi tempesta perfetta e di incontenibile contagio.Un dolore che umilia la nostra vocazione e il senso stesso della nostra vita e che tuttavia in questi giornidi quaresima ha un suo sapore pasquale, se siamo memori di quanto il Signore Gesù dice a Nicodemo nelVangelo di Giovanni: «Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto. Il vento soffia dovevuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito». Laterribile gravità dei tempi presenti ci richiede un inedito e profetico coraggio capace di ascoltare edecifrare il soffio dello Spirito nella sua libertà e capacità di incoraggiare e responsabilizzare tutti icredenti in Cristo nell’esercizio del loro sacerdozio battesimale.Ci è di aiuto l’estensione di questa sorta di perenne inazione domenicale, ci è di aiuto il silenzio gravidodi consapevolezza di queste ore così assorte e pacate anche nel cuore solitamente chiassosodella nostracittà, ci è di aiuto la forzosa «clausura» di innumerevoli famiglie, limitazione geografica che noi monaciconosciamo molto bene quale umiliante ma liberante contrazione dello spazio a disposizione dei nostripiedi e della nostra fantasia e che tuttavia porta con sé il dono grande di un realismo capace di riconoscerecon uno sguardo attento e colmo di amore che davvero, come amavano dire i Medieovali, nel frammentosi riverbera il Tutto e che, come sapientemente ci avvertiva il grande Romano Guardini, «a partire dallaPasqua di Cristo il mondo non è come sembra apparire: è anche questo, ma è al contempo più di questo»,
se abbiamo la pazienza — e adesso finalmente il tempo- di scrutarlo, decifrarlo, attraversarlo non piùcome oggetto del nostro abituale uso e consumo rapace, ma come dono, dono delicato, fragile, misterioso,destinato non solo a me stesso, ma anche agli altri e alle generazioni che verranno.L’inedita estensione dei perimetri del nostro monastero a tutta la città, immersa in una surreale quiete chela sottrae alla convulsa frenesia dei tempi abituali e che la invita alla meditazione e all’esercizio dellalettura e di composto e civile dialogo su un destino finalmente percepito come comune, permette dunqueuna riscoperta non banale e per certi veri provvidenziali del primato dell’essere sull’avere, della qualitàsulla quantità e innesca meccanismi che possono rendere il nostro stare insieme, pur nel rispetto delleindicazioni dateci per la tutela della salute di tutte e tutti, quella città «porosa», come Walter Benjaminamava qualificare l’eccezionale capacità di fraterna socializzazione e mutua capacità di aiuto respiratanella Napoli del suo tempo.Papa Francesco in «Evangelii Gaudium» al numero 71 con la sua abituale libertà teologica ed espressivaha ribaltato una più che millenaria tradizione spirituale che di fatto quasi imponeva la ricerca di Dio incima alle montagne, in isole sperdute e remotissime, nel cuore di fitte foreste, nello stesso desertoattraversato dal Signore Gesù per rafforzare la sua obbedienza filiale ai disegni salvifici del Padre. In queltesto straordinario il Papa ci invita a considerare come «abbiamo bisogno di riconoscere la città a partireda uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case,nelle sue strade, nelle sue piazze. La presenza di Dio accompagna la ricerca sincera che persone e gruppicompiono per trovare appoggio e senso alla loro vita. Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà,la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. Questa presenza non deve essere fabbricata, mascoperta, svelata. Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero, sebbene lo facciano atentoni, in modo impreciso e diffuso».Sì, carissimo Direttore, in questi tempi di emergenza e di oggettivo pericolo, lo Spirito ci impone diriconoscere i confini dinamici e invisibili della chiesa capace di includere, riconoscere e finalmentesvelare la presenza del suo Signore anche in quel prezioso «sacerdozio dei fatti» che, alla luce di quantodice il Papa e ci raccontano le Vostre concitate cronache, fanno dei nostri ospedali luoghi dove con ore eore di insonne, generoso e febbrile lavoro si promuovono «la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene,di verità, di giustizia» e dove col dono della salute ci verranno restituite persone e storie sulle cui spallesarà festa grande cucire tutti assieme quelle ali che nella penombra della nostra desolata Basilica e dellenostre vuote chiese adesso stiamo progettando e realizzando con turni quasi incessanti di preghiera ededizione in queste angosciate e interminabili ore del giorno e della notte.*Abate di San Miniato al Monte

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