LA SCUOLA HA PERSO VOCE, AUTOREVOLEZZA E CORAGGIO

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La scuola italiana oggi vive una frattura profonda: ha smesso di essere un’istituzione autorevole e si è trasformata, tranne alcuni presidi che ancora resistono, in uno spazio negoziabile, permeabile, vulnerabile. Non è un problema di programmi, né di tecnologie, né di nuove metodologie. È un problema di ruolo. Quando la scuola rinuncia alla propria funzione istituzionale, quando abdica alla responsabilità educativa, quando arretra davanti alle pressioni esterne, smette di formare cittadini e inizia a produrre fragilità.

UNA RIFLESSIONE PEDAGOGICA CHE NON PUÒ PIÙ ESSERE RIMANDATA

A dirlo con chiarezza è la pedagogista Teresa Pia Renzo richiamando l’attenzione su una deriva che non è più episodica ma strutturale. La scuola – sottolinea – non è nata per compiacere, ma per educare. Non è un servizio a domanda individuale, ma un presidio culturale e sociale. E oggi questo presidio è sotto assedio, non tanto dall’esterno quanto dall’interno, da un sistema che ha confuso i confini tra scuola, famiglia e mercato.

QUANDO LA BUONA SCUOLA HA INDEBOLITO L’ISTITUZIONE

Con le riforme degli ultimi anni, e in particolare con l’impostazione introdotta dalla cosiddetta Buona Scuola, si è progressivamente legittimata un’ingerenza crescente delle famiglie nelle scelte didattiche ed educative. La valutazione, la disciplina, persino il percorso di apprendimento sono diventati oggetto di trattativa. Il risultato è un cortocircuito pericoloso: l’insegnante perde autonomia, il dirigente perde coraggio, l’alunno perde riferimenti.

EDUCAZIONE E FORMAZIONE DEI RAGAZZI NON POSSONO AVERE NEGOZIAZIONE

Una scuola che non può bocciare – sottolinea -, che non può richiamare, che non può intervenire sulle carenze reali per timore di contenziosi o ritorsioni, è una scuola che tradisce la propria missione. Non perché punisce, ma perché rinuncia a prendersi cura. Educare significa anche dire non sei pronto, devi fermarti, devi crescere ancora. Senza questo, si costruisce solo l’illusione del successo, non la competenza.

NUMERI CONTRO PERSONE: IL GRANDE EQUIVOCO

La riflessione va oltre. Quando il dirigente scolastico viene spinto a ragionare come un imprenditore e non come un garante dell’istituzione – aggiunge con preoccupazione la Pedagogista – il rischio è evidente: le iscrizioni contano più dei ragazzi, i numeri più delle menti, la quantità più della qualità. Ma gli studenti non sono clienti e la scuola non è un’azienda. È un luogo di responsabilità pubblica, dove si forma il capitale umano e sociale del Paese.

INSEGNANTI ESPOSTI E SENZA ALCUNA TUTELA

In questo scenario, gli insegnanti diventano il bersaglio più fragile. Sempre meno tutelati, sempre più soli, sempre più esposti a pressioni, denunce, umiliazioni. Richiamare un alunno oggi può significare aprire un conflitto con la famiglia. E quando la scuola smette di proteggere chi educa – ricorda – l’educazione si spegne per paura.

IL PARADOSSO DELLE REGOLE SENZA STATO

Si chiede alla scuola di insegnare legalità, rispetto, cittadinanza, educazione civica. Ma come si può educare al rispetto delle regole se lo Stato stesso non difende chi quelle regole le rappresenta? Come si può parlare di autorevolezza se l’istituzione che dovrebbe incarnarla arretra, delega, si giustifica?

E POI C’È IL NODO IRRISOLTO DEL RUOLO DEI GENITORI

Il rapporto scuola–famiglia è fondamentale, ma deve essere equilibrato e chiaro. Collaborazione non significa sostituzione. Il genitore – precisa e scandisce ancora – non può diventare decisore educativo all’interno della scuola. Ognuno deve restare nel proprio ruolo, perché solo così il sistema regge. Dove i confini saltano, cresce il disordine.

UNA SCUOLA CHE DEVE TORNARE AD ESSERE ISTITUZIONE

La riflessione pedagogica di Teresa Pia Renzo non è una nostalgia del passato, ma una richiesta urgente di futuro. Una scuola che torni ad essere autorevole, libera di educare, sostenuta dallo Stato, capace di dire no quando serve e di accompagnare davvero i ragazzi nella crescita. Senza paura, senza compromessi, senza ambiguità. Perché – conclude – quando la scuola perde il suo ruolo, non perde solo se stessa. Perde un intero Paese.

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