Napoli, la rivoluzione mancata, a un passo dal dissesto finanziario

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Quanto è scuro il cuore di Napoli ai tempi del Re Sole Luigi De Magistris, detto Egogistris, sindaco del posto più bello e più brutto del mondo, monarca traballante di una città sull’orlo del collasso economico e forse già abbondantemente oltre, dopo che la Corte dei Conti ha bocciato il piano decennale di riequilibrio finanziario del Comune, sancendone, di fatto, il dissesto?  Che fine ha fatto la rivoluzione arancione dell’uomo atteso come il Messia – il magistrato, l’innovatore, il profeta («Una specie di Grillo nostrano», dice amaro lo scrittore Maurizio de Giovanni) – che oggi, a due anni e mezzo dalla sua elezione, riscuote il consenso di un cittadino su due, ha avvicendato otto dei dieci compagni di viaggio che aveva scelto per gestire la metropoli da Palazzo San Giacomo ed è costretto ad appellarsi al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per non vedere il suo regno ridotto in macerie? E quanto è distante la fine di tutto?

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