
“Partiamo da un presupposto: le risorse previste per il prossimo settennato non vanno bene. Per la Lombardia significherebbe ricevere un miliardo di euro, una cifra che non si comprende perché debba essere accettata così com’è”.
Lo ha dichiarato il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, intervenendo oggi a Roma all’evento ‘Coesione Italia: L’Italia delle comunità, l’Europa dei territori’, alla presenza del ministro per gli Affari europei, il PNRR e le Politiche di Coesione Raffaele Fitto e del vicepresidente della Commissione europea Tommaso Foti.
Fontana ha spiegato che, pur riconoscendo l’importanza delle molte aree di intervento coperte dai fondi di coesione, ve ne sono due “che rappresentano la spina dorsale del nostro sistema economico: il sostegno alle attività produttive e la formazione”.
Il presidente ha evidenziato come in Italia convivano due sistemi formativi, uno statale e uno regionale: “La Lombardia garantisce qualità e costi più bassi. Perché togliere alle Regioni ciò che già funziona. Mi chiedo per quale motivo, se la formazione regionale funziona ed è già riconosciuta, non dovrebbe continuare a essere gestita dalle Regioni”.
Il governatore ha quindi fornito un dato concreto: “In Lombardia formare un ragazzo costa 4.500 euro l’anno, mentre il sistema statale ne costa 7.200. Allora mi domando: perché sottrarre competenze alle Regioni, quando possiamo garantire qualità a costi inferiori?”.
Fontana ha inoltre ricordato che la formazione regionale copre tutta la filiera, “dalla formazione professionale fino ai percorsi di alto livello, come gli ITS, che in diversi settori sono equivalenti a una formazione universitaria”.
“Il nostro tessuto produttivo non soffre di disoccupazione – ha precisato – ma di carenza di lavoratori qualificati. Gli imprenditori ce lo ripetono costantemente: servono competenze, non burocrazia. Se lo Stato trasferisse alle Regioni le risorse che oggi gestisce direttamente, risparmieremmo oppure riusciremmo a formare molti più giovani”.
Fontana ha poi richiamato alcune criticità legate all’attuale proposta della Commissione europea, evidenziando come la nuova impostazione rischi di produrre effetti contrari agli obiettivi dichiarati.
“A preoccuparci – ha spiegato – è innanzitutto la valutazione del Bundesrat tedesco, che avverte che questo modello potrebbe aumentare la burocrazia e rallentare le procedure amministrative. Se si preoccupano i tedeschi, immaginate cosa potrebbe significare per l’Italia”.
Un ulteriore elemento critico riguarda la scelta di trattare in modo indistinto le risorse dei fondi di coesione e della PAC. Una scelta che, secondo il governatore lombardo, “rischia di generare una guerra istituzionale tra Regioni, Province e Comuni, mettendo territori e comparti in contrapposizione e bloccando per anni ogni possibilità di trovare un equilibrio”.
Il presidente ha tenuto a ricordare che la Lombardia è “la prima regione manifatturiera d’Europa” e una delle aree più attrattive per gli investimenti internazionali, con “il 38% degli investimenti esteri realizzati in Italia nell’ultimo anno”. Ha poi sottolineato come la Lombardia sia anche “la prima regione agricola italiana” e che gli interventi a sostegno del settore realizzati attraverso la PAC “sono andati nella direzione assolutamente giusta”.
Fontana ha poi richiamato l’importanza del modello lombardo nelle politiche industriali: “La nostra competitività nasce da un confronto continuo con imprese, professioni e sindacati. Nel Tavolo del Patto per lo Sviluppo siedono imprese, associazioni di categoria, professioni e sindacati. Insieme individuiamo le priorità e costruiamo i programmi di sviluppo”.
Il nuovo piano lombardo prevede interventi a favore degli ecosistemi integrati, un approccio che Fontana descrive come “fondato sulla capacità delle Regioni di programmare, adattare, innovare”.
“Se questa capacità venisse sottratta alle Regioni – ha avvertito – verrebbe meno una parte decisiva della forza propulsiva del nostro sistema produttivo”.
Il presidente ha concluso segnalando come l’intero Tavolo del Patto per lo Sviluppo, con imprese e sindacati, abbia firmato un documento comune: “Tutti gli attori economici – associazioni, professioni, sindacati – chiedono che le risorse rimangano alle Regioni, vengano gestite dalle Regioni e programmate dalle Regioni. È una posizione unitaria, chiara e responsabile”.


