Torna il vinile, la seconda giovinezza dei dischi

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giulio20cesare20ricciC’era un ragazzo che amava i Beatles e i Rolling Stones. Aveva imparato ad amarli facendo girare i vecchi dischi in vinile. Poi sono venute le musicassette a nastro, e il mercato si è spezzato in due, fino all’arrivo del cd che, con la promessa di sonorità pulite e durata da Higlander ha spazzato via gli uni e le altre.
 Così i dischi sono finiti in soffitta e sulle bancarelle del bric a brac, anche se un ristretto numero di fan è rimasto fedele al microsolco, perpetuandone i rituali come per un antico rito pagano.
 Con l’arrivo dei vari Mp3 ai 33 e 45 giri sembrava riservato il destino del Commodore 64, e invece a sorpresa ecco che il cd si dimostra tutt’altro che immortale, e il vinile torna prepotentemente di moda.
 Lo dicono le cifre del rapporto Eurispes sull’economia della musica: nel 2008 un aumento delle vendite del 209% rispetto al 2007. Perché?
 Lo chiediamo a Giulio Cesare Ricci (nella foto), editore musicale patron della Fonè, ribattezzato da Renzo Arbore “Mastro Vinile”.
 Uno che in questi anni non si è mai arreso, ha coltivato i suoi dischi con la cura di un enologo per il Sassicaia, e oggi vede il tempo galantuomo dargli ragione.
 Cosa è cambiato nel mercato della musica?
 Intanto c’è da dire che si tratta di una rinascita a livello internazionale. L’elemento fondamentale è che i giovani americani hanno scoperto il vinile. Ma non in casa, come avremmo potuto fare noi con le cose di famiglia, ma culturalmente, grazie al messaggio di tanti gruppi musicali che non hanno mai abbandonato il vinile, o a realtà come la Fonè, che privilegiano questo sistema.
 E cosa ha indotto questo cambio di rotta culturale?
 Due fatti epocali, legati a fattori economici: il primo è la fine del copyright sul cd da parte della Philips. Dopo 20 anni nei quali la Philips ha preso royalties da ogni cd venduto, questa fonte di guadagno si è conclusa. Così la major del settore ha deciso di non valorizzare più il cd, e parallelamente ne ha favorito la duplicazione. Sul mercato sono arrivati i masterizzatori, frantumando l’immagine del cd.
 Il secondo fatto è l’alto costo del prodotto, che negli ultimi anni ha portato a una contestazione da parte dei possibili acquirenti. Questo ha fatto salire il disinteresse per il cd, mentre cresceva il fenomeno della musica “liquida”, la musica diffusa su internet.
 Questo spiega il crollo del cd, non la rinascita del disco…
 Per il vinile è un po’ come quando la sera lasciamo il fuoco nel camino, la mattina dopo sembra cenere, ma basta poco per accenderlo. Il vinile non era morto come i padroni del mercato affermavano, ma continuava a vivere, a livello di elite ma con grande vivacità. E oggi la musica “liquida” non basta a rimpiazzare il cd: va bene infatti per un ascolto distratto, altrimenti deve essere ad alta risoluzione. E copiarla è illegale, una grande scorretteza nei confronti di chi fa musica.
 Quindi via ibera al disco, si riapre un mercato enorme
 Calma: il mondo dell’analogico, e quindi il vinile, si è fermato a 30 anni fa. Io opero su vinile da 30 anni e non l’ho mai abbandonato, oggi sono considerato un grande esperto. Questo anche perchè generazioni di tecnici in questi anni si sono concentrate su supporti digitali e non analogici. Così oggi lavoriamo con macchine degli anni Sessanta, le tecnologie sono superate, non si trovano pezzi di ricambio, e sono pochissimi i giovani che hanno competenza. E non tutto il vinile oggi è di qualità: ci sono anche molti vinili modesti, Romania e Bulgaria erano scarse 30 anni fa, figuriamoci oggi.
 E lei come ha fatto?
 Io ho avuto la fortuna di conoscere David Malley, forse il più importante ingegnere del settore. Lo frequento da 20 anni e mi considera un figlioccio. Mi ha tasmesso tutta la sua cultura analogica. La Fonè ha avviato più linee di produzione, in Giappone e in Germania, puntando sull’eccellenza.
 Se il mercato tira, la tecnologia potrebbe ripartire…
 È difficile, perchè è passato troppo tempo; io lavoro trovando pezzi di ricambio degli anni cinquanta e sessanta, e quando saranno finiti, non so come farò. Il vinile vero poi è solo analogico, se i dischi sono fatti da master digitale si ottiene una qualità assai più bassa.
 Come si ottiene un prodotto di alta qualità?
 Volendo lasciare testimonianza di un lavoro d’eccellenza, ho puntato tutto sulla qualità: la registrazione è in anaogico puro con macchine ampex da 76 centimetri al secondo per un’ampiezza di mezzo pollice, fuori standard, come lavoravano i Beatles e i Rolling Stones. Perché in analogico la qualità è direttamente proporzionale alla velocità e all’aumento delle tracce.
 Realizzo matrici con il tornio che David Malley ha messo insieme con i pezzi migliori di due torni che hanno fatto la storia. Dal nastro originale realizzo la matrice, un disco di cera, detto lacca, che ha un’anima di metallo.
 Il disco viene tagliato con incisioni, i solchi, trasferendo le informazioni del master alla lacca. Un lavoro che da qualche anno faccio da solo, e conoscendo il repertorio che ho inciso, mi consente di fare delle tarature su misura per le musiche.
 E questo è importante?
 Molto, e per due ragioni: primo perché consente di far avere ad ogni musica il suo livello di taratura, a differenza dell’industria che fa tutto in maniera standard. Poi facendo io le matrici, ho potuto realizzare il sogno di stampare i dischi in Giappone, come i grandi artisti pop.
 La pasta vinilica giapponese infatti è la più pura del mondo, perché loro hanno procedimenti chimici più raffinati, quindi il suono è pulito. Le matrici di cera le spedisco in Giappone, ma visto che in viaggio possono subire shock termici, e i solchi si possono rovinare, sono costretto a mandargliene più di una. I giapponesi, che curano ogni dettaglio, hanno apprezzato moltissimo questo modo di lavorare. E questo mix di fattori ci ha portato al top del settore vinile, perché oggi nessuna casa discografica ha la cultura e la tecnologia per ottenere un prodotto di pari qualità.
 LucianoDonzella, da “Il Tirreno”, 31 gennaio 2009

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