Il teatro in vernacolo elbano sale in cattedra

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Oggi nessuno parte con la “balligia” per cercare fortuna in paesi lontani. Nè invita gli amici a casa consigliando di “bussa’ con li piedi”, tanto per dire di non venire a mani vuote. E le mamme non mandano più i bambini “a riberto” (a letto). Non nella vita reale, almeno. La lingua dei nonni, il parlato della tradizione attraverso il quale ricoprire le vere radici dell’Elba è però tutt’altro che morto. Sparisce dai bar, dai banchi di scuola e dalle botteghe. E sale sul palco, si fa spettacolo, grazie alle compagnie di teatro in vernacolo, oggi più vivo che mai all’Elba. Ne sono una dimostrazione tre gruppi che vanno per la maggiore (il Gruppo Parrocchiale di Capoliveri, La Nuova Compagnia Riese e La Ginestra di Seccheto). Compagnie di dilettanti. Eppure, come si dice in gergo, fanno cassetta e richiamano molti spettatori. A Capoliveri, per esempio, è attivo da anni un gruppo che si appoggia alla parrocchia di Santa Maria Assunta, di cui è presidente Franca Messina. Fondato da Patrizia Arduini e Lorella Di Biagio, il gruppo si è subito distinto per atti di beneficenza e solidarietà. «Abbiamo anche organizzato – spiega Messina – spettacoli per raccolta fondi pro popolazioni dell’Abruzzo colpite dal terremoto». Ma perché mettere in scena proprio il vernacolo? «Questione di attaccamento alle proprie origini – Franca – ma non solo. Anche desiderio di mantenere la nostra identità, i nostri valori». Ecco ricomparire espressioni gergali cadute in disuso del tipo “aveggio” (pentola), “maledetto quel giorno ladro che t’ho messo al mondo” (detto di madri quando i figli le facevano arrabbiare). E poi bassoio (vassoio), il gavinetto, la copercella, la cantera. Parole, espressioni ma anche storie della tradizione: basta ascoltare i discorsi delle massaie, quando si incontrano a fare la spesa. Un po’ quello che accadeva un tempo quando le donne andavano ai pozzetti, i depositi d’acqua dove lavare i panni. “O’nde vai in capelli co ste merie…”, “o la tu mamma dov’è, sulle piagge?”, “Arembelo al muro” per dire accostalo alla parete. Non c’è battuta di attori che non regali una perla di “parlata popolare”, così pittoresca, così grottesca, tale comunque da suscitare in chi l’ascolta il sorriso. «Proprio quello che cerchiamo di recuperare noi con le nostre commedie – dice Katia Cascione che ha firmato insieme con Luciano Barbetti molte regie della “Nuova Compagnia Riese” – un recupero culturale dei nostri modi di dire, delle parlate e delle cadenze popolari che sopravvivono solo tra le persone di una certa età e che, per esempio, non sentiamo più tra i nostri figli». E sempre il popolo, ma soprattutto il vicinato il grande crogiolo da cui traggono ispirazione Barbetti e Cascione nello scrivere le sceneggiature dei loro lavori che saranno successivamente rappresentati. «Le nostre commedie – spiega Maurizio Battistini, presidente della compagnia teatrale “La Ginestra” di Seccheto – nascono da attività laboratoriali che ci vede impegnati in parecchi e per qualche tempo; poi il materiale viene elaborato dallo scrittore Adriano Pierulivo che gli dà una forma prima che sia riprodotta in teatro. L’intento del nostro gruppo che non solo si dedica al teatro ma organizza anche feste paesane e gare sportive è quello di conservare nel tempo il linguaggio dei nostri nonni, i modi di dire, i proverbi, le parole popolari, i costumi e gli usi che con il tempo si sono persi, ecco perché le commedie che si mettono in scena sono quasi tutte ambientate negli anni passati, tratte da racconti di vita comune, situazioni e personaggi buffi ovviamente romanzati a volte tristi, a volte ironici ed esaltati comicamente». Teatro anche luogo di aggregazione sociale, d’incontro. «Il bello di tutto – conclude Messina – è quando ci riuniamo nelle serate d’inverno e si sta tutti insieme a provare e riprovare, a ridere e scherzare tra noi, con l’obiettivo di rappresentare il nostro lavoro in primavera».

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