L’Isola d’Elba celebra il 70° anniversario della tragedia dello Sgarallino

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si cala.. il vescovo«Ero salito da poco in coperta, per controllare quanto era ancora distante l’Elba. Avevo compiuto questa azione per rendermi conto di quanto carbone avrei dovuto mettere in caldaia per dare l’energia sufficiente al piroscafo ad arrivare in porto quando è successo il finimondo». Sono parole che ha scritto sul suo diario di bordo il fuochista dello Sgarallino, Stefano Campodonico, uno dei quattro sopravvissuti alla tragedia dell’affondamento. A causa dell’esplosione il fuochista (all’epoca aveva 34 anni), perse la gamba destra. Una tragedia immane per l’Elba perché, non ci fu paese isolano che non fosse direttamente coinvolto. Genitori morti, fratelli, zii o semplicemente parenti. Il giorno successivo si riversarono in molti a Portoferraio per avere notizie dell’accaduto. La massa dei cadaveri occupava tutta la darsena medicea, dalla punta del Gallo verso a quello che era il Palazzo dei Merli. Chi si attardava in quell’ammasso di corpi per riconoscere da un frammento di stoffa, o da qualche altro oggetto particolare il proprio congiunto. Sono scene rimaste impresse nella memoria delle persone, difficili da dimenticare. Raccontò Elvio Diversi, poco più che un ragazzino all’epoca dei fatti, in un’intervista rilasciata a Senio Bonini, giornalista del Tg2 e ripresa in un documentario che sarà proiettato questa sera, alle 21,30 al De Laugier: «Apprendemmo la notizia dalla centralinista telefonica di Rio Marina – rievoca così i fatti – Fu questa ragazza che mise al corrente i paesani, quella stessa mattina, della disgrazia che si era appena consumata a poche miglia di Portoferraio». Un altro riese che a quell’ora era nell’orto a Grassera, a diversi chilometri di distanza, aggiunge: «Sentii un grande boato. Come se fosse successo un terremoto». E difatti un sisma peggiore non poteva accadere per l’Elba. Racconta, sempre nel documentario di Senio Bonini, don Giorgio Mattera che nell’incidente perse il cugino e lo zio, Giovan Battista Baldetti: «Capii della disgrazia perché la casa all’improvviso si riempì di gente e solitamente questo accade quando succedono fatti gravi. E tutti, specialmente le donne, piangevano». E è avvenuto proprio per ricordare i familiari, ma non solo anche tutte le altre vittime innocenti, morte in eventi così drammatici, che don Giorgio promise a se stesso di creare una cappella votiva in cui si ricordassero tutte le vittime dello Sgarallino. Riuscì a realizzare il suo progetto accarezzata da quando era poco più che un ragazzo quando resse la parrocchia di San Giuseppe di Carpani. Dietro l’altare maggiore c’è infatti la cappellina e sul muro le lettere che i sommozzatori hanno staccato dallo scafo a circa 50 metri di profondità.

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