Contro il caro-affitto, nasce il Fondo housing toscano

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C’è chi è troppo ‘ricco’ per aver diritto ad un alloggio pubblico, ma è anche troppo povero per il mercato; e una casa in affitto, ancora meno una da acquistare, non se la può permettere o fatica a trovarla. Metter su casa, complice la crisi, negli ultimi anni è diventato ancora più difficile: basta guardarsi attorno per rendersene conto. Anche la finanza pubblica, costretta a fare i conti con tagli e risorse sempre più scarse, vive le sue difficoltà. Si cercano ‘alleanze’ con il privato.
In Toscana una risposta al caro affitto arriva dall’housing sociale. Ed è una risposta anche alla crisi del settore edile, perché a disposizione del fondo a cui la Regione ha aderito potrebbero essere messi i tanti immobili invenduti che si accumulano in città: immobili spesso da completare e che potrebbero dunque rivelarsi anche una possibilità di lavoro per tante piccole e medie imprese toscane.
Se ne parla stamani in Regione a Palazzo Strozzi Sacrati, sede della presidenza toscana: un convegno con tanti sindaci, “un percorso che parte da lontano – spiega l’assessore Vittorio Bugli a far gli onori di casa assieme alla vice presidente ed assessore alle politiche sociali Stefania Saccardi – un percorso che inizia nella primavera del 2013 dai lavori al tavolo per l’edilizia” e che ha visto stamani appunto la firma di un protocollo con l’ingresso della Regione nel Fondo Housing Toscano gestito e partecipato dalla Cassa Depositi e Prestiti, la ‘banca’ degli enti locali oggi trasformata in società finanziaria, per l’80 per cento ancora in mano al Ministero dell’Economia e il resto a fondazioni bancarie e mercato.
Tutto è nato nella primavera del 2013 appunto. Al tavolo per l’edilizia, dove si discuteva fino ad allora essenzialmente di crisi aziendali, si prova a mettere in fila alcune idee per il rilancio del settore. Si discute di dar vita a un fondo di social housing. La proposta diventa poi quella di aderire ad un fondo che già esiste. Nella legge finanziaria per il 2014 si prevede uno stanziamento da 5 milioni e alla fine dell’anno scorso viene individuato il fondo dove investirli, che è il Fondo housing toscano (FHT). Una strategia che porta a centrare due obiettivi in uno: rilanciare il se ttore edilizio ma anche affiancare alle tradizionali politiche abitative della Regione Toscana e alla tradizionali politiche pubbliche per l’abitare, quelle fatte di case popolari di proprietà pubblica e date in affitto, uno strumento innovativo partecipato anche da investitori privati, sia pur un privato particolare come è il privato ‘sociale’.
La firma di oggi del protocollo d’intesa tra Regione, Cassa Depositi e Prestiti e Investire immobiliare Sgr sta tutta qui: un modo per coordinare le diverse politiche dell’abitare e coinvolgere nella programmazione i territori con i Lode, ovvero le conferenze dove siedono i Comuni e che si occupano della gestione delle case popolari. Un’opportunità per recuperare a patrimonio abitativo gli immobili ora vuoti, da rintracciare attraverso un bando che sarà presto pubblicato, e non utilizzare così ulteriore suolo. Sarà naturalmente la Sgr, la società di gestione del risparmio, a valutare l e possibilità di investimento.
Cosa è l’housing sociale
L’espressione è oramai diventata da alcuni anni parte del lessico non solo degli addetti ai lavori. Ma se tutti sanno cosa sono le case popolari o l’edilizia economica residenziale, ovvero quelle case che Regione e Comuni costruiscono (o acquistano) e mettono poi a disposizione di quella parte di società più a rischio di marginalità o in difficoltà, cosa sia esattamente l’housing sociale forse non è chiaro, nei dettagli, proprio a tutti.
L’housing sociale è una formula che consente di realizzare alloggi e servizi per chi non riesce a soddisfare il bisogno di una casa: magari perchè quella casa non c’è, magari perchè le famiglie che la stanno cercando non hanno i requisiti per accedere all’assegnazione di alloggi pubblici ma faticano a ricorrere al mercato privato.
L’housing sociale rimane dunque un’edilizia low cost, che però si differenzia dall’edilizia popolare pura per la sua declinazione in chiave welfare. Un esempio? S’immagini un condominio. Si immaginino servizi che possono essere utili anche ad un microcomunità che vive in un palazzo, dalla baby sitter per i bambini alla badante per gli anziani. Nell’housing sociale può capitare che siano gli stessi affittuari e condomini ad aiutarsi l’un con l’altro offrendo quei servizi.
Ma anche se questo non avviene, l’obiettivo primario rimane quello di favorire la formazione di un contesto abitativo e sociale dignitoso, non solo offrendo un alloggio adeguato ma anche relazioni umani ricche e significative. Nel segno dell’integrazione e del benessere e con forme varie, dall’affitto calmierato, moderato o agevolato all’acquisto a prezzo convenzionato o l’affitto con possibilità di acquisto.

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