L’apocalisse del Terzo Millennio: terremoti, inondazioni, alluvioni

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Non si sono risparmiati i titoli apocalittici su quello che, a ragione, viene definito – senza esagerazioni – il cataclisma più forte del secolo, dall’alto delle sue vittime che ha seminato lungo la strada. Parlo del terremoto di Haiti, questa bellissima località delle Grandi Antille nei Caraibi salita recentemente alla cronaca per il tremendo sisma che qui si  verificato.  Nomi esotici rievoca questa magnifica isola. Nomi che si affacciano alle nostre menti di ragazzi restituendoci situazioni che si rifanno a quando eravamo dietro a leggere avventure di pirati e di mitici personaggi che le avevano animate. Nomi anche di attrazioni turistiche per gli Europei e per i nord Americani, grazie alla bontà del clima e alle amenità dei luoghi.

Privilegiate si sentivano quelle persone che avevano comperato nelle agenzie di viaggio di mezza Europa un biglietto per Haiti, località da sogno. Non lo è più. Difficile cancellare dalla nostra memoria quanto hanno trasmesso tutte le televisioni del mondo sul sisma di gennaio. Difficile non farsi prendere dalla commiserazione e dalla partecipazione emotiva al dramma di questa popolazione, che non ha più casa, non ha più lavoro e (il dramma nel dramma) molti individui che sono rimasti senza la consolazione dei propri cari. Sono stati colpite le frange più deboli della società: i più poveri, i più diseredati sono quelli che hanno fatto lievitare il numero delle morti in questo scacchiere del Pianeta.

Leggevo proprio ieri una cronaca di un inviato speciale di un grande giornale italiano, che ritornava (dopo esserci stato altre volte) in questa isola sconquassata dalle scosse telluriche. Quelle capanne dove brulicavano i bambini, quei banchetti, quelle quattro tavole sulle quali la gente del posto improvvisava un piccolo commercio destinato al turista ricco che sbarcava su queste coste alle ricerca di souvenir da portare agli amici rimasti in città: ebbene tutto questo cancellato. Non c’era più traccia e non ci sarebbe voluta l’immaginazione di un grande scrittore per capire che fine avesse fatto questa fantasmagorica e colorita popolazione. La quale, pur non avendo nulla, ti accoglieva sorridente e ti offriva quello che, a parer suo, era un piccolo gioiello di artigianato locale, naturalmente in cambio della moneta.

Gli Usa e di converso tutte le nazioni progredite del Mondo hanno dato vita a una gara di solidarietà immaginabile; l’Italia non è stata alla finestra a guardare. Sono partiti immediatamente gli aiuti internazionali. In questi ultimi anni –mi riferisco soprattutto all’Italia- abbiamo sempre più perfezionato la macchina dei soccorsi. Bene! Ma occorre, a parer mio, fare qualcosa di più. Nel senso della prevenzione. Perché si continua a costruire su pianure alluvionali? Perché facciamo le case sulle pendici di vulcani? Perché non ci attrezziamo con costruzioni ad hoc se abitiamo zone a rischio sismico? E’ risaputo che queste isole caraibiche sono spesso investite da calamità naturali (tifoni, uragani, maremoti e, non ultimi nella scala dei valori, terremoti); le nazioni che adesso si impegnano nell’aiutare queste popolazioni diano anche dei “consigli” sul tipo di case che devono sorgere in questi quartieri, in queste località, affinché certi genocidi, come l’ultimo, non si verifichi più. E’ solo imparando da quello che avviene in natura che l’uomo si garantisce la permanenza nel mondo e nel tempo: facendo tesoro degli sbagli che hanno colpito le precedenti generazioni e operando le contromisure, si assicura la continuità delle generazioni. Una formula semplice, ma assai produttiva. Altro non c’è. Sono finite in questa maniera grandissime civiltà del passato: penso ad Atlantide, penso a Creta, penso a Troia e a popoli scomparsi nel nulla come gli Hittiti e via di questo passo.

Infine ultima considerazione. L’ondata di buonismo. Ci sentiamo, è vero, coinvolti emotivamente: vorremmo essere anche noi laggiù, per asciugare una lacrima, per consolare un disperato offrendogli qualcosa da mangiare o un abito da indossare. Allora, serviamoci dei mezzi conclamati e sicuri, di centri di solidarietà internazionali garantiti cui rivolgerci per far pervenire la nostra partecipazione. E adesso il discorso delle adozioni.

Ci sono in Italia molte persone che sono in lista d’attesa per adottare un bambini haitiano; è giunto il momento di accelerare le procedure affinché si arrivi a coronare il sogno di molte coppie di italiani che desiderano dedicarsi all’educazione  di un piccolo bambino che non può che non portare gioia, freschezza, gioventù nella nostra casa.

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