Si è parlato di processo breve in questa settimana e la Camera ha approvato le norme che ne regolano il funzionamento. Ma c’è già chi dice che tali prescrizioni (così come sono state siglate dai parlamentari) rischiano di incentivare un numero sempre maggiore di reati, in quanto la distinzione che intercorre tra incensurati e recidivi viene fatta in sede di accertamento del reato e non al momento della sanzione. Secondo alcuni commentatori tale sistema applicativo andrebbe ad innestare un meccanismo perverso che costituisce “un incoraggiamento a delinquere proprio per chi viola sistematicamente la legge”.
“La norma sulla prescrizione breve – scrivono oggi sulla ‘La Voce’ Antonio Nicita e Matteo Rizzolli – sposta la distinzione tra recidivi e chi viola la legge occasionalmente dal momento della decisione della pena a quello dell’accertamento dell’illecito, riducendo la possibilità di condanna per i criminali incensurati. Non serve a combattere il recidivismo né a introdurre un garantismo efficace. Se nel lungo periodo produrrà un numero inferiore di condannati, ciò non sarà la virtuosa conseguenza di una riduzione delle recidive, quanto il risultato di una minore probabilità di punire chi ha commesso un reato, ma non ha precedenti penali”.
Cosa bisogna concludere da queste argomentazioni? Sono gli stessi Nicita e Rizzolli a indicarci la strada da intraprendere: “La nuova norma proposta sulla prescrizione breve quindi non serve a combattere il recidivismo né a introdurre un garantismo efficace. Se è vero che nel lungo periodo produrrà un numero inferiore di condannati, ciò non sarà la virtuosa conseguenza di una ridotta recidiva, quanto piuttosto il perverso risultato di una ridotta probabilità di condannare i criminali ancora incensurati. Per evitare il paradosso, riteniamo invece opportuno che la distinzione tra le diverse tipologie di violatori della legge avvenga in sede di decisione della pena (incrementando le pene per i recidivi) e non in sede di accertamento dell’illecito (riducendo la possibilità di condanna per i criminali incensurati), come purtroppo avverrebbe nel caso in cui la proposta di legge venisse approvata”.
Ma in questa settimana è stato presentato dal governo il “Piano nazionale di riforma” (Pnr) che già qualcuno si è affrettato a ribattezzare “Proprio nessuna riforma”. In verità sono quattordici le misure programmatiche elencate nel Pnr, presentato questa settimana dal Consiglio dei ministri. Alcune sono semplici piani, altre sono titoli vuoti, come la promozione delle energie rinnovabili. Oppure sono già in vigore, peraltro senza dimostrarsi risolutive. Altre ancora prevedono un iter lunghissimo. In realtà il governo potrebbe benissimo procedere subito su molti terreni, anche perché verso la fine della legislatura non avrà più la forza per varare alcuna riforma.
L’eccezione, naturalmente, è la riforma della giustizia. Delle quattordici misure elencate come programmatiche, cioè ancora da realizzare da qui alla fine della legislatura, alcune sono semplici piani (il piano triennale del lavoro, il programma di inclusione delle donne, etc.). Altre misure sono titoli vuoti come la promozione delle energie rinnovabili. Non sappiamo, al di là di questo condivisibile obiettivo, cosa si voglia fare a riguardo, dato che nulla è scritto nel documento. Potrebbe soltanto essere un bel discorso del nostro ministro per l’Ambiente. Le misure sul lavoro sono in realtà già state attuate, come la riforma della contrattazione, dato che si fa esplicitamente riferimento all’accordo del 22 gennaio 2009, quello che escludeva la Cgil e che non sembra avere affatto risolto i problemi della contrattazione in Italia, come provato dal caso Fiat. In ogni caso, l’accordo c’è già stato. Quindi nulla di nuovo si annuncia sotto le stelle. Stesso discorso vale per i provvedimenti del Collegato (a partire dagli arbitrati) sul lavoro varato un anno fa. Sul federalismo l’obiettivo da qui alla fine della legislatura è quello di portare a termine l’attuazione della legge delega. Peccato che nel frattempo i decreti sin qui approvati si siano limitati a rimandare al futuro la definizione degli elementi più importanti della riforma quali i sistemi perequativi e i fabbisogni degli enti locali. Ci sarebbe anche molto da dire sul preteso passaggio dalla finanza derivata a quella autonoma, di cui in realtà non si è visto traccia.
Per la riforma fiscale si annunciano tempi lunghissimi dato che si attenderà la conclusione di tavoli che devono svolgere il lavoro preparatorio cui seguirà la stesura di una legge delega. Approvata quest’ultima, si dovrà procedere con i decreti attuativi. Un iter lungo e complesso. Il Governo potrebbe benissimo procedere subito su molti terreni. Facile intuire che verso la fine della legislatura il Governo non avrà più la forza per varare alcuna riforma. Infine c’è la riforma della giustizia. Rischia di fare la stessa fine di quella annunciata dal ministro Alfano due settimane fa.