“Je suis Charlie” cinque anni dopo

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Sono passati cinque anni dagli attentati di matrice islamica che hanno insanguinato Parigi, colpendo, oltre a inermi cittadini, anche i redattori del settimanale satirico Charlie Hebdo. Era il 7 gennaio del 2015, quando i due fratelli Kouachi entrano sparando nella sede del giornale. Uccidono 12 persone e ne feriscono 4, prima di venire a loro volta uccisi dagli agenti dopo due giorni di fuga.

Il giorno dopo un terzo attentatore che era in contatto coi fratelli Kouachi, Amedy Coulibaly, uccide un poliziotto a Montrouge, e prende d’assalto un negozio di prodotti ebraici, uccide a sangue freddo quattro ostaggi prima di venire abbattuto dalla polizia. I tre attentatori prima di morire si dichiarano combattenti per la Jihad: per conto dello Stato Islamico Coulibaly, per al-Qaida nella penisola araba i due fratelli.

Cinque anni dopo. dell’ondata di attacchi, alla quale i francesi risposero con una memorabile manifestazione d’unità civile, si conoscono solo i nomi degli esecutori materiali e dei loro favoreggiatori. Senza nome e senza volto pianificatori e mandanti; in prigione solo le pedine, come per ricordare che il caso non è chiuso.

E aperta resta anche la ferita tra i giornalisti di Charlie Hebdo, che ancora oggi combattono per il diritto a una satira senza bavagli o reverenze. “Pubblicare le caricature di Maometto, oggi sarebbe possibile, ma che senso avrebbe? Oggi si sono imposte altre forme di blasfemia, la stessa nozione di blasfemia ha purtroppo superato il confine delle semplici caricature. Oggi molte cose sono percepite come blasfeme o aggressive, mentre, come dicevo, arrivano nuove censure, nuovi divieti”, dice Riss, il direttore.

Un cambio di scenario difficile da accettare per un collettivo di giornalisti nato per difendere il diritto alla libertà di esprimersi, e che da quasi cinquanta anni mostra di farlo ogni giorno, ad ogni prezzo.

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