Iran: the restrictions on human rights and the resilience of women

Serious human rights violations did not deter the Iranian women's resistance movement

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London – Even the stories that feel distant from us are, in fact, part of our shared human experience, such as those of women who face daily restrictions on their liberty in countries like Iran, imposed by the State itself.

A State that not only suppresses dissent but also legitimises the systematic perpetration of violence against women.

In a recent report submitted to the UN Human Rights Council in March, Mai Sato, the Special Rapporteur on the situation of human rights in Iran, highlighted the concerning conditions faced by Iranian women, who suffer from discrimination in every aspect and sphere of their lives, both public and private.

Since 2022, the “Woman, Life, Freedom” (Jin, Jîyan, Azadî) movement has been fighting against this system. It was founded in response to the arrest of Mahsa Amini for not wearing her hijab properly and her subsequent death in suspicious circumstances, whilst under the custody of the so-called morality police.

This revolutionary slogan led to a wave of protest that swept across the country, involving not only women.

Nevertheless, the Islamic Republic’s reaction has been very aggressive. A terror regime has since been established for women. They may face repercussions from the “mere” confiscation of their vehicles for being caught driving without the hijab, to abuses and harassments for being captured while not complying with Iran’s strict dress code by surveillance cameras specifically installed, even in school courtyards.

More extreme measures include inhumane and degrading punishments for political dissidents and their defenders.

In 2019, the world witnessed the exemplary charges brought against the human rights lawyer and activist Nasrin Sotoudeh, who was sentenced to 33 years of imprisonment and 148 lashes. Among the several charges of threatening national security, there were those of defending other women who opposed the mandatory hijab law and of “inciting corruption and prostitution”, due to her appearance in public without the Islamic headscarf.

This repressive policy targeting women’s fundamental rights and freedoms feeds the idea of women as subjects who are incapable of full self-determination, even within the family structure. This situation results in high rates of femicides counted annually (this data comes from independent investigations, in the absence of official records).

In Iran, victims of domestic violence do not receive protection by the State, as no adequate deterrent legislation has been enacted.

Furthermore, the Penal Code provides lighter penalties for perpetrators of the so-called “honour killing”.

copyright: Shan Women’s Action Network

Although the Constitution formally recognises equality for men and women before the law, this commitment does not lead to actual practical measures.
Besides, Iran remains one of the few UN member states that has not ratified the Convention on the Elimination of all forms of Discrimination Against Women (CEDAW).

Its failure to do so has further undermined the country’s reputation within the international community, already damaged by its failure to uphold the International Covenant on Civil and Political Rights (ICCPR), also adopted under the auspices of the United Nations.

Despite being legally bound by the ICCPR to protect human rights and civil and political liberties of all individuals, Iran fails to respect these obligations due to the total absence of separation between religion and the State.
Even in the face of recommendations and condemnations issued by UN bodies and human rights NGOs, the scope for intervention remains extremely limited, as no strong coercive mechanism exists beyond purely diplomatic channels.

However, the serious violations of human rights have not stopped the Iranian women’s resistance movement, which today stands as a global symbol of fighting against oppression. Iranian women continue to challenge the injustice of the laws that relegate them to a subordinate status within society, even in the most repressive environments.

The authorities’ decision to pause the implementation of a new hijab and chastity law, which would have further eroded women’s freedoms and violated their human rights, is proof of the impact of this persistent, silent rebellion.

Even President Pezeshkian publicly acknowledged the social unrest that such legislation would have provoked and declared his opposition.

May the unyielding strength of Iranian women always serve as a source of inspiration, especially when we feel more protected than ever.

Alessia Martorella
alessia@alessiamartorella.com

VERSIONE IN ITALIANO

Iran: La soppressione dei diritti umani e la resistenza delle donne

Anche le storie che ci sembrano più lontane ci appartengono, così come quelle delle donne che quotidianamente subiscono gravi limitazioni della loro libertà in paesi come l’Iran, ad opera dello stesso Stato. Uno Stato che reprime ogni dissenso e legittima la perpetrazione della violenza sistematica contro il genere femminile.

In un rapporto del marzo scorso destinato al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, la relatrice speciale per l’Iran – Mai Sato- ha messo in evidenza la preoccupante condizione in cui versano le donne iraniane, discriminate in ogni ambito e sfera della loro vita, sia pubblica che privata.

Contro questo sistema si batte dal 2022 anche il Movimento “Donna, Vita, Libertà” (Jin, Jîyan, Azadî), fondato a seguito dell’arresto di Mahsa Amini per non aver indossato correttamente l’hijab e della sua successiva morte in circostanze sospette in ospedale, mentre si trovava ancora sotto la custodia della polizia morale. All’insegna di questo grido rivoluzionario è iniziata un’ondata di protesta che ha investito larghissima parte della popolazione, non soltanto quella femminile.

Nonostante ciò, la risposta da parte della Repubblica Islamica non è stata meno aggressiva, contribuendo a creare un clima di terrore nel quale le donne possono rischiare dalla “semplice” confisca dell’auto se identificate alla guida del veicolo senza velo, ad abusi e maltrattamenti se riprese in abbigliamenti non conformi da videocamere appositamente installate -perfino nei cortili delle scuole-, fino a tradursi in pene inumane e degradanti per le oppositrici politiche e i loro difensori. D’altronde, questo ce lo insegnò bene la pena esemplare inflitta all’attivista e avvocatessa per i diritti umani Nasrin Sotoudeh, che nel 2019 fu condannata a 33 anni di reclusione e ben 148 frustate. Tra le varie accuse di minaccia alla sicurezza del Paese che le erano state mosse, vi erano anche quella di aver difeso i diritti di altre donne che si erano opposte alla legge sul velo obbligatorio e quella di aver incitato “alla corruzione e alla prostituzione”, essendo lei stessa apparsa in pubblico senza l’hijab.

Quest’azione soppressiva dei diritti e delle libertà fondamentali della donna si traduce nella visione della stessa come un soggetto incapace di autodeterminarsi pienamente anche all’interno delle dinamiche familiari, elemento che si riflette poi sull’alto numero di femminicidi che si verificano annualmente (come risulta da indagini indipendenti, non esistendo dati ufficiali).

In Iran, le vittime di violenza domestica non godono di protezione da parte dello Stato, non essendo state emanate leggi deterrenti adeguate. Inoltre, il Codice penale prevede l’inflizione di pene più modeste agli autori di delitti giustificati dalla difesa dell’onore.

 

Sebbene sia riconosciuta a livello costituzionale l’uguaglianza tra uomini e donne di fronte alla legge, questo impegno non si traduce in misure concrete. L’Iran, infatti, risulta essere uno dei pochi paesi membri delle Nazioni Unite a non aver ratificato la CEDAW, la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne. Questa decisione ha incrinato la reputazione dello Stato nei confronti della comunità internazionale, già compromessa dal mancato rispetto dell’ICCPR, ossia il Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato sempre nell’ambito delle Nazioni Unite. Nonostante lo Stato iraniano sia, quindi, giuridicamente vincolato dall’ICCPR a proteggere i diritti umani, le libertà civili e politiche di qualunque individuo, non lo rispetta de facto, a causa dell’assenza totale di separazione tra credo religioso e Stato.
Anche di fronte alle raccomandazioni e denunce degli organismi dell’ONU e delle ONG che si occupano di diritti umani il margine di intervento è pressoché inesistente, poiché non esistono meccanismi di coercizione forte, diversi dai canali meramente diplomatici.

Le gravi violazioni dei diritti umani non hanno, però, scoraggiato il movimento di resistenza femminile iraniano, che ad oggi rappresenta un simbolo globale di lotta contro le oppressioni. Le donne iraniane, anche nei contesti più chiusi, continuano a sfidare l’ingiustizia delle leggi che le vedono soccombere all’interno della società. A dimostrazione del fatto che questa ribellione, continua e silenziosa, negli anni abbia smosso qualcosa è bene menzionare la sospensione della procedura volta all’emanazione di una nuova legge sulla castità e sull’hijab, che avrebbe ulteriormente danneggiato la sfera di libertà delle donne e violato i diritti umani, avvenuta lo scorso dicembre. Lo stesso Presidente iraniano Pezeshkian ha riconosciuto il conflitto popolare che avrebbe generato una tale legge e si è dichiarato pubblicamente contrario.

Che l’inesauribile forza delle donne iraniane ci sia sempre d’ispirazione, soprattutto quando ci sentiamo più tutelate che mai.

Alessia Martorella
alessia@alessiamartorella.com

 

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