Ptosi infantile, occhi aperti sul problema

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Non sempre un bambino piccolo può spalancare gli occhi sul mondo. Può capitare,
infatti, che una o entrambe le palpebre non funzionino a dovere e quindi non si
sollevino completamente. Il disturbo si chiama ptosi congenita e colpisce il neonato
dalla nascita.
«Purtroppo non esistono statistiche sull'incidenza del problema, ma si tratta di una
condizione decisamente diffusa e rilevante», dice Francesco Bernardini, chirurgo
oculoplastico che ha affrontato la ptosi congenita in diversi articoli pubblicati
sulla rivista Ophthalmology (la "bibbia" degli oculisti nel mondo) e oggi è uno dei
massimi esperti italiani e internazionali del problema.
La ptosi congenita non è da mettere in relazione a traumi da parto o a malattie
neurologiche sistemiche, ma «è causata da una distrofia localizzata del muscolo
elevatore della palpebra che non funziona e ostruisce meccanicamente l'asse visivo
impedendo un normale sviluppo della vista», precisa Bernardini. Può colpire un
occhio solo oppure entrambi. «In quest'ultimo caso -continua il chirurgo
oculoplastico- i bambini sono costretti a sollevare il mento per poter avere una
visuale migliore. Alla lunga però, questa iperestensione del capo determina gravi
problemi alla colonna cervicale e ritardi nello sviluppo motorio. Inoltre, in quasi
tutti i bambini, la ptosi arriva a determinare anche un difetto visivo:
l'astigmatismo». 
La ptosi congenita non migliora da sola con il tempo, per cui si consiglia di
operare entro i 5 anni, in età prescolare, in modo tale da evitare anche i danni
psicologici dovuti allo stare insieme ad altri bambini, ma anche conseguenze più
serie: se non trattato in tempo, il deficit visivo può diventare infatti
irreversibile.
Gli interventi che si possono effettuare sono diversi, a seconda dell'importanza del
problema e possono comportare un accorciamento del muscolo elevatore della palpebra
(il muscolo che dovrebbe aprire la palpebra), oppure un intervento di supplenza al
frontale, collegando la palpebra al sopracciglio con tessuto autologo (fascia alta),
prelevato dalla coscia del paziente in modo da essere permanente, senza rischi di
rigetto. 
«La scelta dell'intervento è da valutare caso per caso -prosegue Bernardini-.
L'importante è rivolgersi a persone esperte e competenti. Molti pazienti sono
operati da chirurghi plastici senza alcun successo, per mancanza di una appropriata
diagnosi o per scarsa tecnica chirurgica, rendendo il successivo intervento ancora
più difficile per noi oculoplastici. Per quanto mi riguarda, è l'intervento più
comune che eseguo nei bambini con risultati molto soddisfacenti».
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