Brexit e Amministrative. Partiti tradizionali? C’eravamo tanto amati

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Non siamo mai stati così lontani. La crisi dei partiti tradizionali in occasione delle amministrative italiane e del referendum britannico si è palesata drammaticamente, il 2016 segna forse l’atto conclusivo di quelle stesse fazioni politiche che hanno dominato il palcoscenico internazionale nell’ultimo mezzo secolo e che oggi si dimostrano totalmente incapaci di interpretare le volontà, i bisogni, il sentimento di una popolazione delusa e desiderosa di un cambiamento.

Nobili decadute. Cosa hanno in comune la divisa e inconsistente destra italiana e il PD renziano con gli smarriti conservatori e laburisti britannici? La distanza che li divide dall’elettorato, il profondo solco tracciato in decenni di cattiva gestione che ne ha fatto un corpo estraneo, indifferente ai malumori e alle istanze della cittadinanza che ha così sfiduciato i dinosauri della politica. A scalzarli rispettivamente il Movimento 5 Stelle in Italia e l’Ukip di Nigel Farage nel Regno Unito. Scacco al re, la politica si rinnova.

Qui Italia. Non si è trattato di un voto di “pancia”, i pentastellati hanno conquistato due delle tre storiche capitali dello Stivale facendo breccia tra i delusi dalle manovre poco sinistroidi del premier toscano e sottraendo vasti consensi anche tra i disorientati moderati di destra, poco convinti dalla bagarre interna di cui si sono resi protagonisti i vari Marchini, Meloni, Berlusconi, Salvini, Bertolaso e Storace. Il ritorno nelle piazze, l’incontro con la gente, il coinvolgimento della rete e l’unità del fronte hanno rappresentato le chiavi di volta su cui il Movimento ha costruito il suo successo, tanto a Roma con la Raggi quanto a Torino con l’Appendino. L’attività di governo sarà il primo vero banco di prova per Di Maio e Co. ma la consegna dell’antica Caput Mundi e di uno dei motori industriali del Paese nelle loro mani rappresenta il primo campanello d’allarme per le fazioni della Seconda Repubblica, il popolo vuole staccare la spina in nome di un cambiamento.

Qui Gran Bretagna. “Che pasticcio Mr. Cameron!”. Brexit SI, Brexit NO, un referendum richiesto a gran voce come strumento politico necessario per ricattare l’Ue e ottenere la rivisitazione dei rapporti lo scorso febbraio, ha tramutato a sorpresa il temuto “leave” in realtà e ha decretato la caduta ormai prossima dello stesso governo. Sulla debacle politica del premier britannico ha certamente inciso il “tradimento” dell’ex sindaco di Londra Boris Johnson: il collega conservatore, malgrado il rientro in patria trionfale di Cameron lo scorso inverno dalla contrattazione di Bruxelles, ha sostenuto fino alla fine la Brexit e sull’onda del successo potrebbe ora sostituire al governo lo stesso David William. A nulla è valsa la reazione europeista innescatasi all’indomani della brutale uccisione della deputata laburista Jo Cox, Cameron ha sottovalutato l’orgoglio patriottico di un popolo demograficamente vecchio e non più disponibile a barattare la propria sovranità con Bruxelles: “The independence day”, il richiamo pseudobellico diffuso dall’astuto Nigel Farage ha risvegliato un revanscismo ossessionatamene antibancario ed antieuropeista tra i britannici delusi, che hanno così sposato la causa del giovane Ukip e silurato l’idea romantica degli Stati Uniti d’Europa.

Il terremoto che ha scosso a latitudini diverse lo scenario politico internazionale potrebbe non arrestare il suo moto rivoluzionario. L’8 novembre negli Usa si terranno le elezioni presidenziali. HiLlary Clinton, e l’Occidente, tremano…il nuovo che avanza nel contesto americano si chiama Donald Trump.

Paologiorgio Vinci

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