
Genova – Osservando l’individuo tra la folla solitaria, emerge spontaneo un quesito: perché, malgrado la sempre più sofisticata tecno-strumentazione in commercio a servizio della sicurezza, confortante ristoro della famiglia globale, a livello individuale e collettivo permane una diffusa percezione di insicurezza, di minaccia, di generalizzata paura di tutto (la cosiddetta polifobia)?
In questo senso, la percezione di un imminente pericolo, di insicurezza, di vivere in costante stato di allerta, è un dato evidente del comportamento sociale.
Tale comportamento costituisce un buon motivo per riflettere, visto che pare essere causato anche dalla comunicazione allarmistico-sicuritaria del tecno-progresso.
Fatto sta che, nonostante la funzione rassicurante degli strumenti iper-tecnologici, a garanzia dell’ obiettivo sicurezza sociale e domestica (perlomeno così promozionati dalla pubblicità-progresso), ciò che si osserva è, al contrario, un individuo sospettoso, la cui fisionomia psicologica è quella tipica di chi non si sente per niente al sicuro.
Dunque, la fisionomia dell’ animale-umano, a differenza dell’animale-animale, continua a ri-scontrarsi nel suo essere indeterminato (cit. F. Nietzsche), nel sentirsi fuori posto, nel sentirsi insidiato da rischi d’ogni genere, celati tra le circostanze quotidiane.
D’altro canto, che questo sistema-mondo irrequietizzi, lo acclara la condizione tensionale, medicalizzata, dis-sociata dell’individuo.
Pare dunque che questo sistema-mondo conti sulla presenza di un individuo dis-umanizzato, in linea con l’odierno panegirico sull’intelligenza artificiale e con l’uso quotidiano ottenebrato dell’intelligenza naturale.
Non a caso, già nel 1772, in pieno positivismo, P.H. d’Holbach sosteneva che “nulla è più raro che vedere l’uomo far uso di intelletto”.
In estensiva sintesi, l’ essere umano tanto si occupa di brandire l’ arma del progresso tecno-scientifico, quanto poco si pre-occupa di ri-educare il proprio sguardo sociale d’insieme.
In sostanza, non occorre scomodare l’ intelligenza artificiale per accorgersi che la comunicazione sicuritaria-allertistica produce effetti poco salubri sull’ intelligenza naturale.
Massimiliano Bertorelli
L’AUTORE
Massimiliano Bertorelli
Laurea magistrale in Architettura
Master biennale post-laurea in Comunicazione-Management all’Università Bocconi Milano
Dal 2000 editorialista


