Messina Denaro, invece di polemizzare sulle intercettazioni, impedire che da Messina Denaro e dagli altri mafiosi arrivino all’esterno messaggi agli uomini dei clan

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“Le polemiche sulle intercettazioni telefoniche, che fanno seguito alle dichiarazioni in
Parlamento del Ministro Nordio, sono strumentali e non hanno alcun legame con l’arresto di
Messina Denaro intanto perché tutti sanno che i mafiosi parlano anche troppo a telefono e
che quindi le intercettazioni telefoniche sono indispensabili. E i mafiosi parlano persino dal
carcere con i telefonini come hanno accertato in questi anni magistrati antimafia nonostante
l’incessante attività della polizia penitenziaria a trovarli nelle celle o attraverso “pizzini”. Ad
affermarlo è il segretario generale S.PP. – Sindacato Polizia Penitenziaria – Aldo Di Giacomo
che aggiunge: “almeno noi non dimentichiamo che Denaro è stato riconosciuto il mandante
dell’omicidio nel 1995 del poliziotto penitenziario del carcere Ucciardone di Palermo,
Giuseppe Montalto, che ha pagato con la vita il fatto di aver intercettato, proprio nella
Sezione dei 41bis, un “pizzino”, poi consegnato ai magistrati. Bisogna adesso – dice Di
Giacomo – manifestare la massima attenzione su cosa accade nelle celle degli istituti che
come quello de L’Aquila registrano presenze di detenuti a regime duro. Insistiamo: da una
parte si deve impedire che da Messina Denaro e dagli altri mafiosi arrivino all’esterno
messaggi e dall’altra raccogliere ogni dettaglio. È un compito non facile – aggiunge Di
Giacomo – sia perché gli agenti del Gom (Gruppo Operativo Mobile) della Polizia
penitenziaria, un gruppo specializzato, chiamato a operare su problemi specifici come la
detenzione dei boss, sono pochi in un rapporto intorno a 0,5 per 1 detenuto 41 bis e sia
perché a rendere più difficile la sorveglianza ci sono anche norme europee a tutela della
privacy. Quanto ai rapporti con l’esterno – dice il segretario del Sindacato della Polizia
Penitenziaria – non è casuale che Messina Denaro abbia scelto per la difesa la nipote
Lorenza Guttadauro (nata da sua sorella Rosalia e dal figlio del boss di Brancaccio Giuseppe
Guttadauro)”. Di Giacomo invita a “smorzare l’eccessivo clima di entusiasmo alimentato da
quanti credono che la mafia sia sconfitta. Tutt’altro. Sui territori siciliani ci sono presenze di
personalità carismatiche in grado di prendere il suo posto. Senza escludere le donne che,
superando l’antica visione mafiosa maschilista, hanno già avuto, in varie circostanze, ruoli di
primo piano e di comando specie dopo gli arresti dei mariti e degli uomini di famiglia. Ci
vorrà ancora del tempo per comprendere l’evoluzione della gerarchia mafiosa e come
cambierà l’organizzazione, se tornerà ad essere verticistica o collegale”

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