
WASHINGTON DC – L’ombra dei dazi che il presidente Donald Trump potrebbe imporre all’Unione Europea coinvolge anche i ristoranti italiani più iconici negli Stati Uniti. La temporanea sospensione di 90 giorni non smette di preoccupare il settore il commercio europeo e lo stesso vale per i ristoranti italiani che portano in alto la bandiera del nostro Paese oltreoceano.
Esempio concreto in questo senso è dato dal ristorante “A Modo Mio”, situato ad Arlington, alle porte di Washington, con il pizzaiolo napoletano Antonio Biglietto e il comproprietario siciliano Rosario Farruggio, che ci parla di come i prezzi dei prodotti italiani avevano già subito un aumento ai tempi della pandemia: “Durante il Covid tutti i prezzi dall’estero sono aumentati e anche dall’Italia – afferma Farruggio -. Ci siamo già passati e abbiamo subito un po di crisi nel non alzare i prezzi, ma adesso sono scesi nuovamente e ci siamo stabilizzati. Se adesso risaliranno di poco non cambierà niente, ma se alzano tanto ci troveremo costretti a passare dai prodotti italiani a quelli domestici e quindi da un prosciutto di Parma italiano a quello del nord America. Lo stesso vale per i pomodori e la farina. Io sono siciliano e il nostro sale viene da Trapani, ma anche l’olio, la farina, la mozzarella, il fior di latte, il parmigiano, prosciutto cotto e crudo o la soppressata”.
Altro ristorante italiano nel centro di Washington è “Fiola”, location stellata Michelin, fondata dallo chef internazionale marchigiano Fabio Trabocchi e gestita dal direttore generale siciliano Giuseppe Formica. Qui lo chef calabrese Antonio Mermolia tocca giornalmente con mano i prodotti della nostra terra: “Se i dazi dovessero entrare in vigore sarà un momento difficile per la gastronomia italiana negli Stati Uniti – afferma Mermolia -. I prodotti che abbiamo noi si producono solo in Italia e con molti di questi è difficile fare un ricarico adeguato per quello che sono. Noi ad esempio non facciamo pagare il parmigiano perché è un prodotto che si aggiunge al tavolo. E quindi i costi di questi prodotti incredibili come il riso o le paste che usiamo noi, l’olio o le acque italiane. Già il costo dell’acqua è elevato e con i dazi c’è il pericolo di non vedere più le acque italiane sulle tavole. Per quanto ci riguarda noi non smetteremo di usare prodotti italiani, però dovremmo ritoccare i prezzi, ma speriamo che non entrino in vigore perché sarebbe un po difficile da gestire”.
A Richmond, in Virginia, c’è un piccolo angolo di Sicilia grazie alla pizzeria “Mary Angela’s”. All’ingresso un orologio segna l’orario di Carini, in provincia di Palermo e l’altro quello di Richmond. Il proprietario siciliano Mario Lo Presti è convinto che i dazi siano solamente una strategia negoziale di Trump: “Secondo me questi dazi sono un modo per mercanteggiare con gli altri Paesi. Diciamo che con gli altri prodotti come la pasta abbiamo un buon margine, però qualcosa si deve cambiare – afferma lo Presti -. Due o tre mesi fa abbiamo aumentato i prezzi del 10% e non possiamo farlo ulteriormente, ci tocca aspettare ancora un po”.
All’Ambasciata italiana di Washington si è svolto un evento organizzato da “Gambero Rosso” con degustazione di vini italiani. Qui esportatori hanno fatto luce sull’ombra dei dazi in un contesto in cui gli Stati Uniti rappresentano il 24% delle esportazioni totali di vino italiano all’estero. Davide Di Paolo, importatore e distributore di “Castrorani Vini” (Abruzzo), ha parlato delle possibili strategie da attuare nel caso in cui i dazi dovessero entrare in vigore: “La gente ha iniziato ad impaurirsi troppo riguardo a questi dazi perché c’è un grande volume di business qui in America per i vini importati dall’Italia – afferma Di Paolo -. La buona notizia è che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è venuta qui a Washington e ha incontrato il presidente Trump. C’è stata una bella collaborazione e ad oggi non c’è nessun dazio sui vini italiani, quindi per adesso tutto è molto stabile”.
Anche Daniele Girolami, brand ambassador di “Poggio Le Volpi” (Roma), ha parlato dell’inquietudine dovuta ai possibili dazi: “Il clima è naturalmente di spavento sia per la preoccupazione del volume di vendita da parte delle aziende negli Stati Uniti che per gli importatori che si trovano a pagare qualcosa in più e se parliamo di grandissimi importatori è chiaro che ci sono in ballo molti soldi. Il clima non è dei più tranquilli”, ha affermato Girolami.
Fortunato Nicotra, executive chef del ristorante italiano “Tosca”, situato a Washington DC, sostiene che bisogna trovare una soluzione per fare in modo che i possibili dazi non ricadano sui clienti: “Sarà necessario pensare a come riuscire ad organizzarsi – afferma Nicotra -. Ci sono delle cose impossibili da non importare, come ad esempio il prosciutto, la mozzarella o il parmigiano, e quindi bisognerà poi trovare il modo di riuscire a contenere i prezzi senza farli ricadere sui clienti. Questa sarà la grande sfida”.
Dello stesso parere anche Paolo Sacco, socio amministratore del ristorante “Tosca”, che oltre al pericolo dazi ha evidenziato come i prezzi di altri prodotti sono già aumentati: “L’impatto dei dazi è già visibile, perché anche se non sono entrati in vigore c’è stato un piccolo incremento dei prezzi. Per esempio noi paghiamo già il prosciutto di Parma con il 10% in più rispetto al mese scorso. Inoltre tutto ciò non influisce solo sui prodotti italiani, che noi usiamo maggiormente rispetto agli altri, ma anche sui prodotti europei in generale. Per esempio noi usiamo anche il pesce branzino, un tipo di spigola che viene dalle Canarie e anche in questo caso abbiamo visto un aumento del 10/15%. Secondo me se queste tariffe dovessero entrare in vigore, ci sarebbero delle grandi difficoltà per i ristoratori”.
Thomas Francioni, communication manager di “Rocca delle Macìe” (Toscana) ha parlato di “clima di incertezza”: “I nostri importatori e distributori credono che alla fine i dazi non verranno applicati, ma in caso contrario sarà molto difficile non arrivare al consumatore finale con aumento dei prezzi del 15 o 20%”. Anche Attilio La Rosa, distributore di “Viniamo”, afferma che in questo clima di incertezza c’è anche chi approfitta della situazione per far salire i prezzi in anticipo: “Dubito che i dazi entrino in vigore, ma semmai dovesse succedere avranno inizio dal prossimo giugno. noi importatori e distributori per adesso siamo in una zona di confort perché abbiamo parecchi container tra Florida, California e New Jersey. Il problema principale è che parecchi ristoratori se ne stanno già approfittando. Con la storia dei dazi che non sono in vigore, hanno iniziato piano piano ad aumentare i prezzi. L’ipotesi è che nel caso in cui dovessero aumentare i prezzi, il consumatore al ristorante si ritroverà a pagare 120 dollari un vino che prima poteva acquistare a 80 dollari”.