
WASHINGTON DC – La conferenza stampa odierna alla Casa Bianca, aperta dalla portavoce Karoline Leavitt, è stata segnata da un’atmosfera di lutto e fermezza. Leavitt ha scelto di dedicare le prime parole al ricordo della sparatoria avvenuta ieri presso l’Annunciation Catholic Church di Minneapolis, dove un uomo armato ha fatto irruzione durante la Messa di inizio anno scolastico, causando una strage che ha profondamente scosso l’opinione pubblica americana.
“Un mostro malvagio ha profanato un servizio religioso sacro, colpendo bambini innocenti e famiglie raccolte in preghiera”, ha dichiarato la portavoce, confermando un bilancio pesantissimo: due giovanissime vittime di otto e dieci anni, 14 altri bambini e tre adulti feriti. Una tragedia che, come ha sottolineato Leavitt, non rappresenta soltanto un crimine efferato ma un attacco deliberato a una comunità religiosa.
L’indagine federale: terrorismo interno e crimine d’odio
Il direttore della Sicurezza Nazionale, Kash Patel, ha comunicato che l’FBI ha assunto la guida delle indagini, qualificando l’accaduto come atto di terrorismo domestico e crimine d’odio contro i cattolici. Questa doppia definizione non è casuale: il caso si inserisce in una cornice più ampia di episodi che negli ultimi anni hanno visto le comunità religiose, in particolare cristiane ed ebraiche, oggetto di violenze e minacce.
L’etichetta di “terrorismo interno” segna un cambio di prospettiva non marginale. Tradizionalmente associata a fenomeni legati all’estremismo politico o religioso di matrice internazionale, l’espressione viene qui utilizzata per qualificare un gesto maturato interamente nel contesto sociale e culturale statunitense. L’individuazione delle motivazioni del killer diventa dunque cruciale per comprendere la natura di un odio che, secondo gli investigatori, ha preso di mira un simbolo religioso e comunitario.
Il lutto nazionale e la risposta istituzionale
Nella giornata di ieri il presidente Donald Trump ha firmato una proclamazione ufficiale che dispone l’esposizione delle bandiere a mezz’asta in segno di lutto. Dopo una telefonata con il governatore del Minnesota, Tim Walz, il capo della Casa Bianca ha ribadito la sua “vicinanza personale e politica” alle famiglie colpite, definendo la strage “un dolore inimmaginabile che richiede unità nazionale e solidarietà civile”.
La first lady Melania Trump ha invitato i cittadini americani a unirsi in preghiera, mentre la stessa Leavitt ha sottolineato che “la forza morale di una nazione si misura dalla sua capacità di reagire al male con coesione e compassione”. Questa attenzione all’aspetto simbolico e religioso non è casuale. In un Paese dove la fede rappresenta ancora un elemento identitario forte, l’attacco a un luogo sacro non è soltanto una questione di ordine pubblico, ma tocca corde profonde della coscienza collettiva americana.
Un Paese diviso di fronte alla violenza armata
La vicenda riapre inevitabilmente la discussione sulla violenza armata e sul facile accesso alle armi da fuoco, un tema che da decenni spacca il dibattito politico americano. Da un lato, il Partito Repubblicano – con lo stesso Trump – continua a difendere il Secondo Emendamento come pilastro della libertà individuale. Dall’altro, settori sempre più ampi della società civile e del Partito Democratico invocano una riforma restrittiva, alla luce di tragedie che colpiscono scuole, luoghi di culto e spazi pubblici con una frequenza disarmante.
La definizione della strage di Minneapolis come “terrorismo interno” complica ulteriormente il dibattito. Perché se è vero che il gesto appare motivato da odio religioso, resta aperta la questione di come prevenire l’azione di individui isolati, radicalizzati, ma dotati di armamenti letali.
Il calendario internazionale: l’ONU sullo sfondo
In chiusura della conferenza, Leavitt ha anche annunciato che il presidente Trump parteciperà alla sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, con un discorso previsto per il 23 settembre. Un contesto internazionale che, inevitabilmente, verrà influenzato dal clima interno: presentarsi davanti ad una platea mondiale con un Paese lacerato da una nuova strage interna rafforza la necessità di mostrare fermezza e unità.
Una ferita aperta
Il massacro di Minneapolis non è solo l’ennesimo episodio di sangue nella cronaca americana. È un campanello d’allarme sulla fragilità del tessuto sociale e sul rischio che l’odio, quando si intreccia con la violenza armata, si trasformi in terrorismo endogeno.
Le parole di Karoline Leavitt e la risposta della Casa Bianca cercano di dare un senso a un dolore collettivo che difficilmente può trovare consolazione. L’immagine di una Messa scolastica trasformata in teatro di sangue resterà impressa a lungo nella memoria pubblica degli Stati Uniti, segnando non solo l’inizio dell’anno scolastico, ma un nuovo capitolo nella difficile lotta contro il terrorismo interno.


