Tra macerie e diplomazia, Trump convoca vertice su Gaza alla Casa Bianca: Rubio tratta con Israele

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Casa Bianca - Foto di Stefano Scibilia
Casa Bianca - Foto di Stefano Scibilia

WASHINGTON DC – Giornata ad alta tensione diplomatica a Washington, dove la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato si muovono sul dossier Gaza. Il presidente Donald Trump ha convocato per oggi un vertice straordinario interamente dedicato al futuro della Striscia, mentre il segretario di Stato Marco Rubio incontrerà nel pomeriggio il ministro degli Esteri israeliano Gideon Saar. Due momenti diversi, ma collegati da un filo rosso: riaffermare la leadership degli Stati Uniti in Medio Oriente e tentare di costruire una strategia post-conflitto credibile, mentre sul terreno l’offensiva israeliana continua senza sosta.

La regia della Casa Bianca

Il vertice convocato da Trump, descritto dai portavoce come un “large meeting”, vedrà riuniti nella Roosevelt Room consiglieri per la sicurezza nazionale, diplomatici, rappresentanti del Pentagono e parlamentari di entrambi i partiti. Al centro del tavolo tre priorità dichiarate: garantire la sicurezza, disegnare un modello di governance e sostenere la popolazione civile con un piano di aiuti umanitari.

L’inviato speciale per il Medio Oriente, Steve Witkoff, ha sottolineato che l’amministrazione punta a una soluzione multilaterale, coinvolgendo Israele, l’Autorità Palestinese e i Paesi arabi moderati. L’orizzonte fissato da Trump è ambizioso: chiudere la fase più intensa della guerra entro la fine dell’anno. Ma già emergono i primi ostacoli: alcune ipotesi, come quella di un controllo diretto americano sulla Striscia, sono state respinte da organismi internazionali e bollate come illegali.

Il quadro umanitario, intanto, resta devastante. Secondo il ministero della Sanità di Gaza, le vittime hanno superato le 62mila unità. La città è allo stremo: ospedali al collasso, interi quartieri rasi al suolo, famiglie costrette a fuggire con pochi averi. Organizzazioni umanitarie denunciano che acqua, elettricità e medicinali sono ormai quasi inesistenti. E mentre la Casa Bianca cerca di parlare di “day after”, la realtà sul campo racconta un presente di macerie.

La diplomazia parallela: Rubio e Saar

Se Trump punta a rafforzare la sua immagine di leader globale, Marco Rubio si muove su un terreno più operativo. Alle 15:15 (21:15 in Italia) riceverà al Dipartimento di Stato Gideon Saar, ministro degli Esteri israeliano e figura di primo piano del governo di Tel Aviv.

L’incontro sarà dedicato a tre questioni sensibili: il coordinamento politico-militare, la gestione degli aiuti umanitari e la visione israeliana del “day after”. Saar porterà a Washington una posizione chiara: Israele intende mantenere un controllo di sicurezza a lungo termine sulla Striscia ed esclude qualsiasi ritorno al potere da parte di Hamas. Rubio, da sempre vicino alle posizioni più dure di Israele, dovrà però confrontarsi con la crescente pressione internazionale che chiede almeno una tregua per consentire corridoi umanitari sicuri.

Secondo indiscrezioni filtrate da fonti diplomatiche, l’incontro potrebbe anche affrontare il nodo del rapporto con l’Egitto e la Giordania, partner indispensabili per qualsiasi schema di ricostruzione e sicurezza. Ma non sarà un dialogo semplice: sia Il Cairo sia Amman guardano con diffidenza a un piano che rischia di consolidare il controllo israeliano su Gaza senza reali garanzie per i palestinesi.

Washington tra ambizioni e limiti

La giornata odierna segna quindi una doppia pista diplomatica: da un lato Trump, che vuole accreditarsi come regista del “dopo Gaza” con un’iniziativa dal forte valore politico; dall’altro Rubio, impegnato a rafforzare i legami bilaterali con Israele e a consolidare l’asse strategico tra i due Paesi.

Ma la grande incognita resta la fattibilità. Gli Stati Uniti, pur dotati di strumenti militari e diplomatici imponenti, si trovano a muoversi in un contesto regionale sempre più frammentato. Nel mondo arabo cresce la percezione che il piano americano sia costruito più per proteggere gli interessi israeliani che per garantire diritti e prospettive ai palestinesi. Sul fronte interno, inoltre, non mancano critiche: diversi membri del Congresso, soprattutto tra i democratici, spingono per un approccio più equilibrato e per una maggiore attenzione alla dimensione umanitaria.

L’ombra lunga del conflitto

Al di là delle dichiarazioni ufficiali, la realtà è che la guerra non accenna a fermarsi. Israele ha intensificato nelle ultime ore le operazioni a Gaza City e nel nord della Striscia, parlando di obiettivi strategici da neutralizzare. Hamas, dal canto suo, rivendica ancora capacità operative, nonostante le perdite ingenti. La popolazione civile resta intrappolata in un conflitto che sembra non avere sbocchi immediati.

In questo scenario, la mossa americana rischia di apparire come un esercizio di diplomazia più simbolico che sostanziale. Trump punta a proiettare leadership, ma la distanza tra Washington e il campo di battaglia resta enorme.

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